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L'Evangelo nella Napoli spagnola

Mentre in Germania e Svizzera si riscopriva la Parola di Dio, dando impulso al fenomeno della "Riforma protestante", in Italia, sulla spinta della "controriforma", si predispose ogni mezzo per reprimere, anche con estrema violenza, ogni comportamento ritenuto lesivo della sopravvivenza della chiesa romana, delle sue istituzioni e del complesso delle sue credenze; specialmente nella cattolicissima Spagna e nei paesi da questa dominati. Napoli, appunto, dal 1503 era sottoposta al dominio opprimente della corona spagnola, che governava la città attraverso dei Vicerè. Tra questi si ricorda Don Pedro di Toledo (1532-53). Al di là dei suoi meriti urbanistici, questo Vicerè, uomo moralmente licenzioso, ma strenue difensore della chiesa cattolica, per combattere il fenomeno delle "eresie", cercò d'introdurre l'inquisizione a Napoli, senza però riuscirvi, dato il carattere e le resistenze dei napoletani. Nonostante tutto, chi era scoperto "eretico" (era considerato tale anche chi professava il puro Evangelo), veniva implacabilmente torturato (perché rivelasse la presenza di eventuali "complici") e giustiziato.

In tale contesto, il Signore provvide una via, per raccogliere "un residuo" costituente il Suo popolo. E' vero che camminando per le strade della Napoli d'allora, non si sarebbe mai trovata, nei pressi di qualche portone, l'insegna con la rassicurante iscrizione "chiesa cristiana evangelica"; tuttavia Iddio suscitò delle persone, spesso d'alto rango sociale, che approfittarono della propria posizione nella società partenopea, per far ascoltare ai propri pari e al popolo la Buona Novella del Cristo che salva per grazia. Questa "chiesa del silenzio", oggi troppo semplicisticamente definibile "nicodemita" (da Nicodemo di Gv 3), si avvaleva di alcuni ecclesiastici di rango, per farsi giungere segretamente la letteratura cristiana riformata d'oltralpe. Chierici che avevano accettato Gesù quale personale Salvatore, pur non tollerando la tonaca, approfittavano del pulpito, annunziando le verità cristiane al popolo (cui da tempo, era stato proibito l'uso della Bibbia), che accorreva sempre più numeroso, interessato e commosso dall'Evangelo predicato con autorità. Il gioco fu progressivamente scoperto e denunciato dai preti dell'Ordine dei Teatini (fondato, tra l'altro, da Carafa); che si accorsero della "strana" predicazione, degli studi sull'epistole paoline (ritenute la base del credo evangelico-protestante), delle riunioni di preghiera sempre più simili a quanto praticato dagli "eretici d'oltralpe". Con la "resa dei conti" del Vicerè, passò via velocemente da questa città la splendida meteora di fede, disperdendo i pochi araldi della Buona Novella: Dovranno correre più di due secoli, per rivedere degli evangelici a Napoli. Nonostante fatti così avversi, Dio vince sempre! E' vero che alcuni abiurarono temendo per la propria vita; tuttavia coloro che furono giustiziati per la propria fede, guadagnarono finalmente il "palio della suprema vocazione". Chi riuscì a fuggire, divenne un più efficace strumento di Cristo, nei paesi in cui aveva vinto la Riforma.

E' interessante considerare in breve, alcuni dei protagonisti di questa incredibile "ondata evangelica" in pieno dominio spagnolo a Napoli.

Juan de ValdésIl primo da presentare è Juan de Valdés (1490?-1541). Questo letterato e uomo politico spagnolo, fu introdotto in patria alla dottrina d'Erasmo da Rotterdam, volta alla riforma della chiesa cattolica in senso morale e spirituale. A seguito della pubblicazione dell'opera "Diálogo de doctrina christiana" (1529), venne processato due volte dall'Inquisizione. Riuscì a rifugiarsi in Italia e dopo varie vicissitudini, si stabilì a Napoli. Qui evidentemente convertitosi a Cristo, si consacrò alla sua vocazione, raccogliendo intorno a sé una cerchia di personaggi (cd. "circolo valdesiano") tra cui si ricordano Ochino, il marchese Caracciolo, il nobile umanista e giureconsulto Scipione Capece, Carnesecchi, Vermigli, ecc. In tale circolo si riunirono varie dame della nobiltà, quali Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga, sua discepola prediletta. Oltre ad alcuni vescovi, tale movimento contò più di 3.000 aderenti. Dopo la morte di Valdés, gli aderenti al valdesismo furono perseguitati ed alcuni morirono per la causa dell'Evangelo. Gran parte degli scritti dello spagnolo furono arsi; Giulia Gonzaga, però, salvò una parte di questi, lasciandoli in eredità agli amici.  

Bernardino OchinoBernardino Ochino (1487-1564). Il francescano senese, in seguito Generale dei Cappuccini, divenne un apprezzato predicatore. Nel 1536 entrò in contatto a Napoli con de Valdés e la sua  spiritualità ne rimase positivamente influenzata in senso evangelico. Ochino nelle sue predicazioni toccava sempre più temi quali la giustificazione per fede, l'ispirazione plenaria delle Scritture, ecc. Per questo gli fu proibito di predicare e fu convocato a Roma (1542). Sentendosi minacciato, fuggì dall'Italia e fu accolto da Calvino a Ginevra; ivi prese cura della chiesa italiana evangelica che si stava formando. Iniziò poi un ministero itinerante, che terminò in Moravia, ove morì.

Pietro Martire Vermigli

Pietro Martire Vermigli (1499-1562). Entrato da giovane tra i Canonici Regolari della Congregazione Lateranense, questi presto divenne un valido predicatore e un fautore della riforma monastica. Il colto fiorentino in seguito s'arrese a Cristo, semplicemente per essersi dedicato sinceramente allo studio e all'insegnamento della Parola di Dio. Divenuto a Napoli priore del convento di San Pietro ad Aram, rimase spiritualmente influenzato dal "circolo valdesiano", tanto che nella città costituì un piccolo nucleo di cultura evangelica, dando la possibilità a chi accorreva per ascoltare le sue prediche e i suoi studi, di apprendere la Buona Novella. In un primo tempo il Vicerè Don Pedro lo costrinse a ritrattare pubblicamente sul pulpito, proibendogli d'insegnare e predicare. Vermigli s'appellò a papa Paolo III e, avendo amici influenti a Roma, riuscì a far revocare l'interdetto. Tuttavia la faccenda divenne sempre più rischiosa. In quel tempo Don Pedro, avendo ricevuto mandato da Carlo V d'estirpare l'eresia a Napoli, dichiarò d'aver impiccato, in proposito, circa 18.000 persone. Nel 1541 Vermigli venne trasferito come priore di S. Frediano a Lucca, ove forte era l'influenza protestante. Fu poi chiamato a rispondere della sua predicazione innanzi al Capitolato Generale del suo Ordine; sentendosi giustamente in pericolo e reietto dalla chiesa romana, si decise al gran passo. Finalmente gettò, per così dire, la tonaca alle ortiche, trovando rifugio nei paesi riformati, fu in questi che Pietro Martire si rivelò un valido strumento per contribuire all'affermazione e all'insegnamento della dottrina cristiana .

Giovanni Buzio (?-1533). Questo Francescano Conventuale proveniente da Montalcino (Siena), a Napoli si dimostrò un valido commentatore pubblico di S. Paolo; tra i più coraggiosi esponenti dell'Evangelismo, ivi fu martirizzato per la Causa di Cristo.

Pietro CarnesecchiPietro Carnesecchi (1508-1567). Il fiorentino, già protonotaro di Clemente VII, aderì giovanissimo alla Riforma in Italia, soprattutto a causa delle sue frequentazioni a Napoli col circolo valdesiano. Accusato d'eresia a Firenze, venne arrestato e condotto a Roma; dopo più d'un anno di carcere, venne giustiziato.  

Tanti altri meriterebbero esser citati. Tuttavia due nomi, in particolare, scossero la nobiltà napoletana, per la loro scelta evangelica: Gian Galeazzo Caracciolo e Giulia Gonzaga. Il potente e ricco Gian Galeazzo Caracciolo di Vico (1517-1586), marito di Vittoria Carafa, coraggioso uomo d'armi ben inserito nella Corte spagnola, frequentò (inizialmente per pura curiosità) il circolo valdesiano. Si convertì a Cristo ascoltando i sermoni del Vermigli. Sentendosi minacciato e comunque reputando ormai intollerabile nascondere la propria fede ed esprimere un culto all'Eterno criptato nei riti cattolici, Gian Galeazzo fuggì a Ginevra, accolto dallo stupefatto Calvino. Questi gli affidò la direzione del Concistoro che comandava il Governo della città elvetica. Proprio a Ginevra, dopo aver speso il resto della sua vita nella semplicità e nella modestia tutta evangelica, a settant'anni morì.

La spiritualità della bella e nobile Giulia Gonzaga, nata nel 1513, contessa proprietaria del castello di Fondi, per motivi facilmente intuibili, s'è voluta disegnare come la migliore espressione della cattolicità del tempo. La realtà è ben diversa! Quando la nobildonna giunse a Napoli, ebbe l'opportunità di ascoltare, assieme al suo consigliere legale e confidente de Valdéz, uno dei sermoni di Bernardino Ochino, rimanendone enormemente impressionata. Conobbe le perle preziose della dottrina Cristiana, maturando spiritualmente assieme a de Valdéz. Nel 1536 Giulia lasciò un vuoto nel circolo valdesiano, ritirandosi in un appartamento del convento di San Francesco alle Monache. Tale riservatezza non dev'esser mal giudicata: la donna, vedova e fisicamente fragile, non avendo possibilità di espatriare, fu semplicemente ospitata dalle religiose, per escludersi dai tumulti del tempo, verosimilmente per evitare il pericolo della repressione vicereale, ritenendo le verità acquisite.

La rapida scorsa su questa sorprendente comunità evangelica nella Napoli spagnola, spinge chi scrive ad una considerazione. In quel periodo, non certo favorevole per esprimere la propria fede, l' "Avversario" fece il possibile per irretire la città nelle strette maglie d'acciaio dell'oppressivo dominio spagnolo e della chiesa romana. Non una sola opera letteraria autenticamente cristiana, non un solo "eretico" evangelico, non una comunità "infetta dal morbo protestante" sarebbero potuti penetrarvi. Chi scrive prova gran soddisfazione nel constatare che, almeno per un breve tempo, le cose non andarono così. Iddio, nella Sua bontà e per Sua Grazia, diede un saggio di come, nonostante tutto, il messaggio salvifico di Gesù il Cristo, penetra e vince le anime. Era solo una caparra! Il dominio spagnolo era destinato a cadere ed acqua n'è scorsa sotto i ponti della storia. Ormai la bella realtà della chiesa evangelica è oggi viva e operante nella nostra città. Si tratta di diffondere la Buona Novella, approfittando della libertà di pensiero e d'azione riconosciuta dallo Stato odierno, ardentemente desiderata dai nostri fratelli della Napoli spagnola.

Renato Branno

     
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