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L'Evangelismo nella Napoli Post - unitaria

Dal tentativo di costituzione spontanea di un gruppo evangelico (il "circolo Juan de Valdés") nella prima metà del 1500, a Napoli non si registrò più alcun'attività che potesse avvicinarsi ad un movimento teso a rivalutare seriamente la Parola di Dio. I cattolicissimi dominatori spagnoli fecero quanto possibile per sbarrare la nostra città a qualsiasi tentativo d'introduzione d'idee religiose e spirituali, non conformi ai dettami della dottrina da loro difesa. Lo strumento utilizzato a tal fine fu la repressione violenta, che diede, può facilmente immaginarsi, considerevoli frutti. Gli uomini e i sistemi politici passano e parimenti tramontò l'epoca dei Vicerè spagnoli. Napoli acquistava man mano la dignità di capitale di uno stato indipendente e nel 1734 s'insediò la monarchia dei Borbone, durata fino al 1860.

Borbone di NapoliE' indubbio che il nuovo regno, da un punto di vista culturale e politico-sociale, portò notevoli innovazioni e sensibili miglioramenti nella vita cittadina. Certo è che per il puro Evangelo la musica non cambiò. I Borbone, formalmente difensori della dottrina cattolica, erano soprattutto stretti alleati dello Stato Pontificio; dunque, nessuno spazio per iniziative, anche religiose, che nella mentalità della corona, avrebbero potuto avere effetti destabilizzanti per l'ordine interno, per i rapporti con Roma e con gli altri regni cattolici: eppure uno spiraglio iniziò ad intravedersi. I Borbone, come tutti i sovrani illuminati, riconoscevano la sovranità territoriale delle ambasciate straniere a Napoli; ebbene, nelle sedi diplomatiche d'appartenenza gli stranieri potevano professare la propria religione, ospitare propri ministri di culto e celebrare propri servizi religiosi. Ecco, ad esempio, che nelle ambasciate svizzera, inglese, tedesca, si tenevano culti cristiano-evangelici, rispettivamente, calvinisti, anglicani e luterani. A tali servizi poteva essere invitato chiunque, senza che di tale partecipazione il presidio consolare dovesse renderne conto alle autorità borboniche. Ciò che però non era consentito, era l'attività di proselitismo (evangelizzazione), sotto qualsiasi forma, rivolta al popolo napoletano: tanto avrebbe creato un imbarazzante incidente diplomatico tra lo stato dell'ambasciata e il governo borbonico ospitante.

Naturalmente, nessuno poteva impedire che un napoletano potesse rimanere influenzato in qualche modo dalla dottrina evangelica. Le cose si fecero particolarmente difficili verso la fine del regno, quando, superati i difficili momenti della rivoluzione del 1799, Ferdinando I re delle Due Sicilie (ovvero, la sua energica consorte Maria Carolina d'Austria), instaurò un vero e proprio stato di polizia, ove qualsiasi attività o riunione sospetta (anche religiosa), portava a giudizi sommari e alla pena capitale.

Giuseppe GaribaldiIl 7 settembre 1860 Napoli fu congiunta all'Italia da Giuseppe Garibaldi; s'aprì così un periodo di fermento culturale e religioso notevole, liberandosi idee e ingegni sino allora repressi. Le società bibliche straniere videro in Napoli un'ampia via aperta dal Signore, che avrebbe richiesto mezzi ed operai per diffondere la Buona Novella.

Forti dell'impronta liberale che s'era dato il governo centrale, ecco che si presentarono i primi colportori (diffusori itineranti di Bibbie e letteratura cristiana) e i primi predicatori non cattolici, così come si costituirono i primi nuclei di cittadini "acattolici", aprendosi i primi locali di culto evangelici. Si ricorda che lo stesso Garibaldi, dittatore di Napoli, donò agli anglicani il suolo dove fu effettivamente costruita la chiesa Britannica di Via S. Pasquale, al quartiere Chiaia. Sulla spinta della realizzazione di reti di piccole comunità (forti delle "Lettere Patenti" emanate da Carlo Alberto nel 1848), anche i Valdesi, mossi allora da coerenza dottrinale e spirituale, si stabilirono a Napoli; a riguardo si rammenta lo storico locale di culto di Via Duomo, che ebbe un ruolo nella costituzione giuridica della chiesa evangelica pentecostale (poi A.D.I.).

Altre confessioni cristiano-evangeliche s'inserirono nel tessuto sociale napoletano, senza conseguire, deve dirsi, un cospicuo seguito, dato l'attaccamento alle tradizioni del popolo e l'instancabile opera di "prevenzione e intralcio" del clero cattolico all'opera d'evangelizzazione. In qualche caso l'esistenza in città di gente di fede evangelica, si notava anche per il diverso modo di porsi esteriormente, rispetto ai napoletani. Ad esempio, tra i piccoli gruppi pietisti centro-europei, inglesi e americani, si stabilirono nella città partenopea i Quaccheri. Essi destarono attenzione per il modo di vivere decisamente austero: si rinviene traccia della loro singolare presenza nel dialetto napoletano, dove con la parola "quequero" (appunto da "Quakers", "Quaccheri"), ancor oggi si designa una persona insolita, strana nel parlare, nell'agire o nel vestirsi. Iddio intanto preparava gli eventi; sul finire del 1900, in America, studenti ed insegnanti della Scuola biblica "Bethel" cercarono, ottenendolo, il battesimo nello Spirito Santo, con l'evidenza del parlare in lingue, conformemente all'esperienza apostolica di cui in Atti: 2:4. Il risveglio pentecostale che ne derivò si diffuse rapidamente nel mondo, toccando nel 1933 Napoli, dove da tempo il Signore aveva preparato il campo alla proclamazione del messaggio salvifico di Cristo, in parte anche attraverso la presenza di quei movimenti evangelici che s'insediarono a partire dall'annessione della città all'Italia unita.

Renato Branno

     
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