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Data di pubblicazione : 12/12/2012
James Stalker
Il sommo bene
Molti van dicendo: «Chi ci farà vedere la prosperità?» O Signore, fa' risplendere su di noi la luce del tuo volto! Sal. 4:6
La storia antica racconta di due saggi, uno chiamato il filosofo piangente, l'altro il filosofo ridente. Entrambi profondi conoscitori della natura umana, affacciandosi su quello strano palcoscenico che è la vita dell'uomo trassero conclusioni del tutto contrarie. L'uno era assorbito solo dal lato oscuro dell'esistenza umana; parlava sempre delle sventure della vita, tanto da guadagnarsi l'epiteto con cui è passato alla storia. L'altro era attratto esclusivamente dall'aspetto positivo dell'avventura umana, trovando sempre qualcosa di molto divertente nel comportamento dei suoi simili, da cui il soprannome che ne contraddistinse l'indole vivace.
Questi antichi filosofi hanno anche oggi i propri seguaci nel mondo, consapevoli o inconsapevoli.
Alcune persone infatti valutano solo il lato triste dell'esistenza. Credono che la vita sia un intervallo penoso, che il genere umano sia un'accozzaglia di esseri spregevoli e che il mondo sia una specie di cuccia per cani, dove si vive miseramente e si muore come topi in trappola.
Dall'altro lato stanno quelli che vedono la cosa in maniera diametralmente opposta. Ogni volta che il loro orizzonte è minacciato da qualche evento tenebroso, prendono il lato positivo della cosa e si fanno forza dicendo non tutti i mali vengono per nuocere. Hanno un alto concetto della natura umana e specialmente di sé stessi; nel complesso, sono persuasi che questo mondo non sia poi tanto malvagio e che la vita meriti di essere vissuta.
Tutti abbiamo conosciuto moltissime persone collocabili nell'uno o nell'altro raggruppamento. Io credo che far parte di uno dei due dipenda principalmente dal naturale temperamento del singolo individuo.
Alcuni sono malinconici per natura, mentre altri hanno un animo impulsivo. Talvolta questa collocazione può dipendere anche dal destino: un dispiacere ricevuto in passato, l'esser stati traditi da un amico, possono intossicare la mente dell'uomo, chiudendolo a tutte le altre influenze salutari. Diversamente, quelli nei quali non è mai penetrata la spada del disinganno, sono orientati a minimizzare le sofferenze altrui.
Il testo biblico che abbiamo davanti suggerisce una analoga divisione del genere umano, andando un po' più oltre e in profondità. Il passo allude all'insoddisfazione della vita contrapposta a una grande gioia superficiale e al piacere che si può provare, nonostante le circostanze avverse della vita.
Considereremo i due aspetti, soffermandoci prima sul cuore dell'uomo inquieto, per poi parlare del cuore che prende il suo riposo in Dio.
Il cuore inquieto
Molti van dicendo: «Chi ci farà vedere la prosperità?».
Se ciò era vero ai tempi di Davide, tanto più è vero oggi. La vita moderna procede senza posa con ritmi sempre più insostenibili, accrescendo il senso di inquietudine nel cuore dell'uomo. Se questo triste grido fu elevato dai boschi delle tranquille colline della Giudea, molto più frequentemente lo udiremo provenire dalle strade di una città come Londra o da una delle tante città del nostro XIX secolo.
È il grido di un cuore assetato e affamato, che nel mondo non ha trovato nulla che soddisfi. Esso sarà sulle labbra del giovane alla ricerca di qualche cosa che appaghi le sue aspirazioni. Il pensiero gli sarà passato almeno una volta per la mente, dato che il mondo gli appare sufficientemente grande e la vita abbastanza lunga da venire incontro alle sue più forti ambizioni.
Udirete quel grido anche dalla bocca dell'uomo maturo quando è deluso nei suoi primi intenti e quando il suo bisogno diventa più urgente, giacché si rende conto di non aver più tanto tempo davanti.
Lo sentirete altresì dall'anziano che, in tono di disprezzo, si chiede Chi ci farà vedere la prosperità? Non c'è nulla che possa soddisfarmi. Il mondo è una delusione e l'essere umano è ingannatore.
C'è un quadro, che forse alcuni di voi avranno ammirato, opera di uno dei più bravi artisti. Si chiama «La Ricerca del Piacere». Qui il piacere ha l'aspetto di una figura femminile eterea e alata, dalla bellezza accecante, sospesa nell'aria, che gira il suo bellissimo volto verso quelli che la inseguono. È raffigurata nell'atto di tirarsi indietro, come se volesse ritrarsi da loro.
In testa al gruppo di inseguitori si vedono dei giovani dalle facce floride e con gli occhi pieni di fiducia, le cui mani distese sembrano sul punto di toccare i bordi della veste.
Seguono quelli non più presi dalla ricerca. Essi si sono ritirati dalla corsa; nei loro sguardi si legge lo sgomento della delusione. Ma la loro determinazione è ancora abbastanza da non farli desistere dal loro proposito. Indietro a tutti ci sono poi quelli preda dello sconforto. Alcuni hanno inciampato, sono caduti e stanno quasi per essere calpestati, tanta è la foga di quella pazza ricerca.
Questo dipinto non tratteggia forse egregiamente l'epoca in cui viviamo? Chi può affermare di essere soddisfatto e di aver ottenuto l'adempimento dei suoi desideri? Se scostassimo un po' le tendine dalle finestre dei nostri cuori, cosa si intravedrebbe? Il dispiacere causato da desideri inadempiuti, l'amaro in bocca lasciato da speranze un tempo accarezzate e ora abbandonate, il timore di qualche cambiamento imminente che potrebbe compromettere la nostra prosperità. Se è arduo catturare la farfalla della felicità, ancor più lo è tenerla.
Ma l'inquietudine del cuore si evince anche dalla ricerca sfrenata dell'esaltazione, che oggi ha raggiunto livelli parossistici. È indubbiamente questa la vera spiegazione dei mali che affliggono la nostra società, tra i quali il vizio del bere, a causa del quale udiamo e vediamo così tanto. Per quale motivo è così diffuso questo folle piacere per l'ubriachezza? I virtuosi della sobrietà lo attribuiscono al moltiplicarsi delle tentazioni, addossandone la responsabilità a produttori e venditori di superalcolici. Ma ciò sarebbe troppo riduttivo.
La verità è che nel cuore degli uomini c'è troppa velata scontentezza e delusione, che vengono fuori quando essi spendono il loro denaro mettendo a repentaglio la propria felicità per qualcosa che può far dimenticare solo per poco ciò che essi sono e qual è la loro condizione.
Sull'altro versante della scala sociale, ma allo stesso modo evidenze straordinarie del medesimo stato mentale, stanno invece tutti i diversivi coi quali le classi oziose cercano di ammazzare il tempo. Nella nostra nazione ci sono migliaia di persone che, con tutti i mezzi che la ricchezza e il prestigio offrono, si sforzano continuamente di trovare qualcosa che possa far loro realizzare che vale la pena di vivere, ma senza risultato.
Si danno da fare trasformando la notte in giorno e trasgredendo a tutte le regole della natura e della salute, nel loro accanimento nella ricerca del piacere personale. Eppure cosa ne ricavano? In nessun altro settore della società troverete così tante persone che si chiedono: «Chi ci farà vedere la prosperità?».
Non signoreggia l'identica inquietudine in quelli che si dedicano totalmente agli affari? Essa traspare dalla ostilità e dalla competizione con le quali essi portano avanti la battaglia della vita. Ciascuno crede che l'altro si stia appropriando del bene per il quale sta lottando lui e così si è rosi dall'invidia per la fortuna altrui. Il ricco capitalista afferma che i propri dipendenti sono felici perché sono ben retribuiti e non hanno problemi. I poveri invece credono esattamente il contrario: si dicono certi che la vera soddisfazione si trovi oltre le balaustre dei parchi o nei prati ben curati dei ricchi.
Ma l'antagonismo si estende anche a livello geografico: ciascun continente crede che il segreto del piacere sia custodito dall'altro continente. Un uomo indignato dagli sbagli e dai fallimenti dei governanti della propria nazione, si professerà certo che oltreoceano, con una differente forma di governo e in una società organizzata con altri principi, si starebbe meglio.
Poi, quando si sale a bordo della nave carica di emigranti, il demone dell'inquietudine si reca sul molo insieme a lui, nascondendosi dietro i bagagli e, al momento opportuno, si rannicchia sul baule dell'uomo, seguendolo dovunque egli vada. La verità è che anche se cambiamo posizione geografica, la nostra mente non cambia.
Infine, se il segreto della prosperità non si trova né dove domina il piacere né dove regna il denaro, è forse retaggio di quelli che sono reputati saggi? L'uomo che si tiene lontano dalle frenesie della società e dalle sollecitudini degli affari, che vive avvolto nella calma dello studio e frequentando solo una ristretta cerchia di persone che la pensano come lui, gode quel bene che rifugge da tutti gli altri?
Leggete la produzione letteraria odierna e lo saprete. Ci sono dei saggi che dibattono se valga la pena di vivere la vita e c'è una corrente di pensiero in continua crescita che insegna che il nostro è il peggiore di tutti i mondi immaginabili e che non esiste premio che possa ricompensare l'aver portato così a lungo il fardello della vita.
Perfino l'arte poetica, che dovrebbe essere il conforto e l'inno di battaglia della generazione moderna, ha un tono sulla più tetra chiave minore evocando anch'essa, sebbene con centinaia di variazioni frutto di fantasia, la domanda: «Chi ci farà vedere la prosperità?».
Vediamo dunque che sia i pensatori, che gli uomini d'azione e gli amanti del piacere, quantunque in modi diversi, giungono al medesimo punto d'arrivo. Cercano qualche sommo bene che soddisfi il loro cuore, ma senza profitto e continuano a chiedersi: «Chi ce lo farà vedere?».
E considerate che la vita è brevissima: bisogna trovarlo ora o mai più. Pochi anni ancora e altri piedi si affretteranno verso ciò che oggi noi rincorriamo e l'eco dei nostri sogni si spegnerà per sempre.
Dobbiamo dunque vivere e morire senza aver messo almeno una volta le mani sul premio, senza che i nostri cuori siano stati riempiti almeno una volta fino all'orlo?
Il cuore in riposo
O Signore, fa' risplendere su di noi la luce del tuo volto! Il passo che abbiamo letto, benché breve, è molto commovente. Sembra presentarci la scena di un uomo in piedi in una piazza, in mezzo a una folla che, pressandolo e trascinandolo qua e là, sta gridando: «Chi ci farà vedere la prosperità?».
E lui, ascoltando il loro grido, alza gli occhi al cielo e, facendosi portavoce di pochi solitari e inosservati tra la moltitudine, dice: O Signore, fa' risplendere su di noi la luce del tuo volto!
Non chiede: Chi ci farà vedere la prosperità?, poiché conosce il segreto che cercano, ha trovato il sommo bene e non desidera altro che questo: che Dio faccia splendere sempre più, su lui e su quelli per i quali parla, la luce del suo volto. Questo è il segreto.
Ma che significa fa' risplendere su di noi la luce del tuo volto? La frase è tratta da una scena di vita di una corte orientale. È un modo pittoresco per dire che il sovrano è compiaciuto. In presenza di sentimenti quali la soddisfazione e il piacere, i lineamenti di una persona, per una legge naturale, diventano radiosi. Viceversa, la tensione causata da sentimenti negativi come dispiacere, rancore o ira, li impallidisce, rendendoli smorti e malinconici.
Le moglie e i cortigiani di un monarca orientale, appressandosi alla presenza del sovrano, osservavano trepidanti l'espressione del suo volto. Se l'aspetto del re era triste, le cose si mettevano male per tutti. Ma se, all'avvicinarsi di qualcuno, i suoi tratti erano distesi e allegri, era un buon segno.
Il nostro testo prende spunto da questa espressione figurata e il senso è che il segreto della vera felicità sta nel godere il favore e l'amore di Dio.
Non è che ci interessi la figura in sé stessa e, anzi, può darsi che le sue associazioni risultino per qualcuno di noi ripugnanti e disgustose.
Tuttavia, non è difficile trasporla nei suoi equivalenti neotestamentari. Oggi noi sappiamo cosa spinge Dio a compiacersi dei suoi figliuoli. Egli si compiace sempre di Cristo e di tutti quelli che si rifugiano in Lui. Ecco quindi, nel linguaggio attuale, individuata la soluzione al problema di cui stiamo parlando: avere Cristo e averlo sempre più.
In che modo ciò si realizza? In altri termini, in che modo Cristo da riposo ai nostri cuori?
1. Distraendo noi stessi dal nostro io. Una delle ragioni per le quali molti sono perennemente insoddisfatti è che si concentrano troppo su sé stessi. Per una strana legge naturale, benché tutti cerchino istintivamente la felicità, nessuno la troverà mai finché essa costituirà l'oggetto precipuo della sua indagine. Una persona che si occupa esclusivamente di sé stessa è destinata alla miseria, proprio come chi, continuando ad ascoltare il battito del proprio cuore o a conteggiare i respiri emessi, diverrà prima o poi un ipocondriaco. Una persona completamente scoraggiata di trovare qualche bene nel mondo al punto tale di perdere la ragione o togliersi la vita, è in ogni caso eccessivamente assorbita da sé stessa. E quanti non arrivano a questo gesto estremo, ma rimangono a tormentarsi nella loro povertà morale, avendo la sensazione che il mondo intorno a loro diventi sempre più nero e un concetto dei propri simili ogni giorno più negativo, devono allo stesso modo la loro angoscia unicamente al fatto di essere troppo concentrati su sé stessi. Hanno bisogno che la loro attenzione sia presa da qualche altro interesse, di fare un po' di bene al prossimo. Ecco la vera medicina per una mente ammalata. Un solo atto di auto-rinunzia sarà in grado di far splendere il sole anche nel cielo più tenebroso. Una sola ora trascorsa a lenire il dolore di un cuore affranto potrà dissipare le nebbie della disperazione di una vita. Cristo ci chiama a fare questo. Egli ci tira fuori dalla prigione del nostro io, suscitando in noi l'interessamento per gli altri. Quando la bontà e l'amore di Dio sono rivelati al cuore, quando l'altruismo di Cristo diventa il grande soggetto della nostra gioia e della nostra speranza, anche in noi nasce una simile attitudine. Prendiamo ad amare quelli che Dio ama e per i quali Cristo morì e ci disponiamo a servirli, poiché Gesù disse In quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me. Non contribuirai a migliorare il genere umano se non darai l'esempio facendogli del bene e non sprezzerai mai un'anima se credi che Cristo ritenne che valeva la pena offrire la sua vita per lei.
2. Tuttavia, il segreto di questo riposo risiede ancora più in profondità. Non solo Cristo distrae il nostro cuore da noi stessi, ma ci da anche un motivo abbastanza grande da soddisfarne i desideri. In un certo senso, la povertà morale di questo mondo è la gloria del cuore dell'uomo. Gli insensati si accontentano di un abbeveratoio, e non ricevono più di quanto desiderino. Ma l'uomo assennato conquista le gioie più esclusive e più ricche e, dopo averle gustate fino in fondo, è ancora affamato. Ciò accade perché il suo cuore è troppo grande per contentarsi di ciò che offre il mondo, per quanto grande possa essere. Dio ha fatto il cuore perché sia ripieno di Lui ed esso non si acqueta finché non trova riposo in Lui. Ma l'anima che ha scelto il favore e l'amore di Dio per sua eredità possiede Dio. Possiede il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. E chi è capace di stimare cosa implica ciò? Come può qualcuno che ha ricevuto una simile eredità andare attorno lamentandosi e piagnucolando Chi ci farà vedere la prosperità? No: Un grido d'esultanza e di vittoria risuona nelle tende dei giusti: «La destra del Signore fa prodigi; Il Signore, il suo Dio, è con lui
È pensabile che un cristiano si chieda se valga la pena di vivere? Se è vero che Colui nelle cui mani egli ha affidato la propria felicità ha a sua disposizione tutte le risorse del cielo e della terra, del tempo e dell'eternità, come è possibile che avvenga ciò? Ora, il cuore umano è spazioso e affamato e Cristo è l'Unico che può farlo traboccare e anche mantenerlo ricolmo.
3. È una contentezza che non verrà mai meno, anzi diventerà sempre più profonda e preziosa, laddove tute le altre soddisfazioni falliscono. Non fa giustizia al sentimento religioso l'opinione che la considera un rimpiazzo di tutte le cose buone dalle quali la vita viene valorizzata e resa migliore, come l'esperienza, l'amore, la salute, il lavoro e il successo. Piuttosto, essa è l'assolata atmosfera in cui vanno godute tutte queste cose. Essa modifica l'atmosfera. Un uomo diligente, per quante innumerevoli soddisfazioni abbia ricevuto dalla vita, non potrà evitare di esser tormentato da grandi e terribili spaventi, se nel suo cuore sa di non essere in pace con Dio ed è notorio che la preoccupazione guasta il piacere. Ora, in questo mondo, oltre a Dio, ci sono tante cose buone, in grado di dare al cuore affamato qualche boccone di riposo. Ma durerà? Solo in proporzione alla forza e alla ricchezza della nostra natura. Non passerà via la giovinezza, con i suoi sprazzi di spiriti animali e la sua capacità di far fruttare tutto con il fascino della sua propria luce? Il vigore dell'età adulta non finirà, imponendo una battuta d'arresto alle sue attività? L'amicizia non si dissolverà nel corso degli anni? I nostri cari più prossimi non trapasseranno, andando in quella terra silenziosa verso la quale non possiamo seguirli? La monotonia dell'anzianità non spoglierà l'albero dei suoi fiori, interrompendo la processione dell'età matura? Non sopraggiungerà l'ultima nostra malattia e non scoccherà l'ora del nostro trapasso? Non dovremo affrontare il giorno del giudizio e la lunga prospettiva dell'eternità? Che ne guadagneremo dunque se non conosciamo Dio in Cristo? Il cuore entrerà nell'eternità ancora gridando disperato Chi ci farà vedere la prosperità? Invece, chi ha trovato il segreto e il premio della vita nel favore e nell'amore di Dio - giacché essi sono entrambi riposti in Cristo Gesù - scopre che i suoi beni sono infinitamente più preziosi non appena compie questi solenni passi. Ho assistito a numerosi casi di persone malate e in punto di morte, spesso son dovuto rimanere vicino a uomini e donne che attraversavano quelle crisi esistenziali durante le quali i sostegni su cui ci si poggia vengono messi sul banco della prova, e posso testimoniare che l'amore di Dio in Cristo, in quei momenti, è stato utile; Dio non abbandona i suoi. Egli fa splendere su di loro la luce del suo volto e solo allora essi comprendono veramente quanto saggia sia stata la scelta fatta e quanto preziosa è l'eredità di cui sono entrati in possesso.
Caro amico, possiedi anche tu questa eredità? Hai scoperto il segreto della vita? Quella voce che si levò al di sopra della folla, al tempo del salmista, non parlò solo per conto suo, ma anche per alcuni altri pochi, e lo fece con speranza e convinzione. Siccome da quel giorno il numero di testimoni è aumentato, oggi la loro voce è come il suono di molte acque, che riecheggia nei secoli. Puoi mettere in dubbio che hanno effettivamente scoperto il segreto? Tu sai qual è. Non vorrai appropriartene anche tu oggi?
Concludo con le parole del salmista: Questo è Dio, il nostro Dio in eterno;
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Eraclito, nato a Efeso nel 535 a.C. e morto nel 475 a.C. (N.d.t).
Democrito di Abdera (nell'antica Tracia), nato intorno al 460 a.C. Nelle sculture viene raffigurato con un volto sorridente (N.d.t.).
Sir Joseph Noel Paton (1824-1901).
Nel sermone originale, Stalker cita questo secondo verso (Num. 23:21) dalla versione inglese King James, che recita testualmente: Il grido di un Re è in mezzo a loro. (N.d.t.)
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