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Parte quarta

La stanza dell’agnello

 

LA STANZA DELL’AGNELLOI saggi del Talmud di Gerusalemme affermavano che il vero scopo di queste domande era semplicemente nominare Ebron, la città dei patriarchi Abraamo, Isacco e Giacobbe. Ma probabilmente la vera ragione era un’altra.  Una volta i sacerdoti nel Tempio sbagliarono a stabilire l'inizio del giorno; il sacrificio quotidiano fu offerto troppo presto, violando involontariamente il comando biblico. La Mishna (1), in Yoma 2:2, riferisce che in quell’occasione (era nuvoloso), verso la fine del mese (nel calendario ebraico sono osservati i mesi lunari), la luce della luna, attraversando le nuvole e illuminando il cielo, dette l'impressione che stesse per spuntare l'alba e per sorgere il sole.

Il tamid giornaliero era stato macellato: i sacerdoti si resero conto di averlo fatto mentre in realtà era ancora notte, e il sacrificio non fu valido.

Dopo aver quindi ben assodato il tempo giusto per l’offerta del tamid quotidiano e che le porte del santuario erano aperte, il responsabile ordinava ai sacerdoti incaricati: “Portate l’agnello dalla stanza degli agnelli!".

In questo locale del Tempio venivano custoditi gli agnelli sacrificali; vi stazionavano sempre almeno 6 animali precedentemente controllati e di cui era stata certificata la purezza rituale. Era obbligatorio controllare ciascun animale quattro giorni prima di sacrificarlo. Tuttavia, anche se l’agnello designato per il sacrificio era già stato esaminato, siccome la Legge era tassativa riguardo l’offerta di sacrifici difettosi, dopo che era stato prelevato dal magazzino, esso veniva ispezionato ancora una volta dal portatore della torcia, per eliminare del tutto il rischio di rendere nullo il sacrificio. L’agnello veniva poi abbeverato, perché ciò ne avrebbe reso più facile lo scuoiamento. Anche questa operazione, come tutto ciò che si faceva nel Tempio, veniva fatta col massimo decoro.

Il sacerdote conduceva l’animale nell’area del cortileIl sacerdote designato per primo dalla sorte aveva il diritto di sacrificare il tamid; conduceva l’animale nell’area del cortile a nord dell’altare, seguito da sei sacerdoti che avrebbero portato materialmente le parti del sacrificio sull’altare. Quest’area del Tempio era appositamente attrezzata allo scopo. Il pavimento era munito di anelli metallici per trattenere l’animale, poi c’erano 8 piccole colonne in pietra, alla cui sommità c’erano dei ceppi di legno, degli anelli per favorire la rimozione della pelle e delle tavole di marmo sulle quali venivano apparecchiati i sacrifici.

Nel frattempo, altre attività erano svolte da chi era stato scelto dal secondo sorteggio.

Il sacerdote assegnato alle ceneri dell’altare dell’incenso Una volta che gli ingressi al Santuario erano aperti, i sacerdoti interessati nelle altre funzioni mattutine iniziavano le proprie mansioni. Il sacerdote assegnato alle ceneri dell’altare dell’incenso entrava nel Santuario recando il contenitore dorato già menzionato, dirigendosi verso il luogo santo. Stando davanti all’altare dorato dell’incenso,  deponeva il cestello sul pavimento, dopodiché toglieva le ceneri in eccesso versandole in esso e poi usciva, lasciando il recipiente sul pavimento.

Nello stesso tempo, il sacerdote a cui era stato assegnato il compito successivo entrava anch’egli nel Santuario e si avvicinava al menorah, posizionato a sud del luogo santo (Es. 25:31-40).

Il candelabro era l’utensile più importante di tutti gli arredi sacriQuesto candelabro era l’utensile più importante di tutti gli arredi sacri, poiché era il simbolo della luce: i saggi definivano Gerusalemme “la luce del mondo” (B'reishith Rabbah, 59).  Il servizio consisteva nel togliere i residui degli stoppini utilizzati e rifornire di olio i lumi, preparando nuovi stoppini da far ardere. Per fare ciò, il sacerdote officiante doveva trovarsi in un punto elevato, in modo da potersi muovere agevolmente; il menorah era infatti molto alto. Perciò saliva su tre gradini posti di fronte al candelabro, arrivando allo stesso livello delle lampade mentre stava in piedi sul punto più alto degli scalini, che erano tre, come i versi biblici che accennano all’ "ascesa" verso il menorah ( Num. 8:1, 2; Es. 25:37 e Es. 27:20).

Secondo l’esegesi biblica dei rabbini ebrei, il sacerdote non doveva accomodare le sette lampade tutte insieme, ma dividere il compito in due fasi, una da cinque e una da due lampade. Entrando nel santuario, se notava che le due lampade a oriente, cioè quelle sul lato destro, ardevano ancora, si dedicava alle altre cinque, ripulendole dalla cenere, riempiendole nuovamente di olio e sostituendo gli stoppini. I residui dell’operazione venivano versati nel contenitore dorato. Quanto alle cinque luci centrali, se ardevano ancora dal giorno precedente, l’officiante le spegneva lo stesso, ne sostituiva gli stoppini aggiungendovi dell’olio fresco e le riaccendeva. Quando il sangue del sacrificio quotidiano veniva sparso sull’altare (o. secondo altri, dopo che era stato offerto l’incenso), il sacerdote ritornava al Santuario per dedicarsi a compiere il medesimo lavoro di pulizia sulle altre due lampade. Una delle fiamme del menorah ardeva perennemente. La “fiamma a occidente” non doveva mai spegnersi, perché le altre venivano accese col suo fuoco (Lev. 24:2-3). Era la seconda dal lato destro. Si narra che sia rimasta ininterrottamente accesa fino alla morte del Sommo Sacerdote Simeone il Giusto (2).

Nel frattempo, nel cortile dei Sacerdoti, il tamid veniva appeso ai ganci, spellato, macellato secondo regole minuziose (3), pulito e passato ai sei sacerdoti che dovevano portarne le parti su per la rampa all'altare, dove venivano salate.

Un settimo sacerdote prendeva il fior di farina che doveva accompagnare il sacrificio quotidianoUn settimo sacerdote prendeva il fior di farina che doveva accompagnare il sacrificio quotidiano. L’ottavo sacerdote, cioè il dodicesimo nell’estrazione, riceveva il diritto di portare l’oblazione personale del Sommo Sacerdote sull’altare, che consisteva in un decimo di efa (circa 2,5 litri) di farina preparata con olio in una pentola e divisa in 12 pani. Anche se questa era l’offerta personale del Sommo Sacerdote, simbolicamente la si considerava come proveniente dalla comunità intera. Veniva portata ogni giorno sull’altare, metà la mattina e metà la sera. Infine, l’ultimo sacerdote di questa lotteria riceveva il compito di portare un quarto di hin (poco più di un litro) di vino, che veniva sparso in offerta sull’altare per accompagnare il sacrificio quotidiano.

In totale il sorteggio del secondo giorno designava 13 sacerdoti. A questo punto, la squadra sacerdotale era pronta per agire. Dopo aver ottemperato ai propri doveri, i sacerdoti ritornavano nella stanza della pietra levigata per recitare le loro preghiere mattutine. Ritornando nella stanza, il responsabile del sorteggio avvertiva i sacerdoti che era il momento della preghiera “Ascolta, o Israele”, insieme alla relativa benedizione e alla ripetizione dei dieci comandamenti, la massima espressione della Torah: “Tu, o Signore, ci hai amato di un amore eterno; con grande e smisurata benevolenza hai compassione di noi, nostro Padre e nostro Re, per amore dei nostri padri che confidarono in Te e Tu insegnasti loro i Tuoi statuti di vita. Perciò,  o Padre misericordiosissimo, mostra anche a noi la Tua grazia e abbi pietà di noi, Tu che sei pietoso”, ecc. (4)

Poi i sacerdoti levavano in alto le mani e impartivano la “benedizione sacerdotale” sul popolo radunato nel Tempio (5). Il sabato veniva aggiunta una benedizione supplementare, durante la quale i sacerdoti uscenti  si avvicendavano con quelli entranti, dicendosi: “Possa Colui che fa abitare il suo Nome in questa Casa, far si che l’amore, la fratellanza, la pace e l’amicizia abitino tra voi”.

 

Continua…

 

     
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