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Data di pubblicazione : 21/11/2013

 

Essere col Signore

di

John Gifford Bellett

John Gifford Bellett

 

Fratello amato,

ultimamente la mia mente è stata più occupata che mai intorno al soggetto che suggerisce la tua lettera, cioè l'essere col Signore. Sono certo che i nostri cuori abbiano bisogno di una conoscenza più intima, più gioiosa e più piena di Lui; e perciò dovremmo anelarLo, desiderarLo, agognarLo tanto ardentemente che null'altro se non la Sua presenza possa soddisfarci. Conosco anime che si trovano in questo stato; eppure non è la mera conoscenza che dà tutto ciò, ma la personale intimità con il benedetto Salvatore, per mezzo dello Spirito Santo. L'altro giorno, quasi per caso, consideravo le ferventi riflessioni di un antico scrittore relative a questo soggetto così caro e prezioso.

In sostanza, erano quasi testualmente quelle che riassumo di seguito:

E' strano che ci sia una tale confidenza con Dio, con la sua bontà e con le sue compassioni,  che gli siamo così perennemente grati, e che poi abbiamo così poca familiarità con Lui. È per questo che siamo così restii a pensare al nostro disfacimento e al nostro andare con Lui. Ovviamente, se non conosciamo un luogo, non ci andiamo tanto volentieri. Saremmo più propensi a spendere del denaro in un albergo, piuttosto che andare ad alloggiare gratuitamente con uno sconosciuto; viceversa, con una persona amica, con la quale in qualche posto abbiamo colloquiato in intimità, ci troviamo come a casa nostra, sapendo che nessun'ora sarà importuna per lui. Io non voglio vivere Dio e le sue quotidiane bontà senza avere una intensa comunione con Lui. Per la Sua grazia, non lascerò passare un solo giorno senza rinnovare la mia conoscenza di Lui, dandoGli qualche testimonianza del mio amore per Lui e ricevendo da Lui qualche dolce pegno del Suo incessante favore verso di me.

Che espressioni meravigliose! Esprimono il carattere di una mente di cui, in questo periodo di affannosa ricerca della conoscenza, tutti noi abbiamo bisogno: desiderare Cristo appassionatamente e personalmente. Possa lo Spirito benedetto, che dimora in noi, imprimere una tale direzione ai nostri cuori. È per noi una lezione dura da imparare, quella di realizzare certi appagamenti che stanno al di là e al di sopra delle naturali risorse. Siamo ancora orientati a conoscere Cristo "secondo la carne" e a desiderare di vederLo nei rapporti e nelle circostanze della vita umana, e solo lì.

Ma questa non è la nostra chiamata, non è questa la vita celeste, la vita di risurrezione.

Certo, è difficile spingersi più in là, lo so, ma la nostra vocazione ci chiama oltre questo. Ci piacciono la casa, il rispetto, la sicurezza e tutti i piaceri legati alle nostre umane relazioni e circostanze e vorremmo potervi ravvisare Cristo. Ma conoscerLo, e possederLo in una maniera che ci dichiari che Egli è uno straniero sulla terra e che noi, come Lui, dobbiamo essere stranieri, "è un linguaggio è duro" per i nostri poveri cuori eccitati.

Nel vangelo di Giovanni, posso dire, tra le altre cose, il Signore si mette a impartire questa lezione.

I discepoli erano addolorati al pensiero che stavano per perderLo, secondo la carne, mentre tutti i giorni camminavano e discorrevano con Lui. Ma Lui li mise al corrente di ciò che sarebbe tornato loro utile, perché cessassero di tenerseLo in quella dimensione, potessero conoscerLo per mezzo dello Spirito Santo e fossero ben presto con Lui nei luoghi celesti (cap. 16). Lo stesso concetto è riproposto al capitolo 20. Maria Maddalena avrebbe voluto conoscere ancora una volta il Signore, come già Lo aveva conosciuto; ma non doveva essere così, questo doveva esserle negato. "Non mi toccare", il Signore le disse. Fu doloroso, ma in quel momento fu vantaggioso, fu buono per lei (come lo era stato già per i discepoli, al capitolo 16). A Maria era stato insegnato che doveva avere comunione per sapere che doveva perdere il Cristo secondo la carne, per essere con Lui nel posto più benedetto della Sua ascensione. Stessa cosa per la compagnia in Gerusalemme, a cui accenna lo stesso capitolo. "Si rallegrarono quando videro il Signore".

Ma si trattava di un'allegrezza umana. Era la gioia di aver rivisto Colui che credevano di aver perduto, il Cristo secondo la carne. Però il Signore subito li trasportò da quella comunione e da quella conoscenza di Lui, alla pace che la Sua morte aveva adesso fatta per loro e alla vita che la Sua resurrezione aveva adesso ottenuto per loro.

È salutare per le nostre anime riflettere su tutto questo, perché noi siamo tendenti a essere soddisfatti da un'altro ordine di cose. Il "dolore che aveva riempito il cuore dei discepoli" al pensiero che il loro Signore sarebbe andato via, il Rabbonì di Maria Maddalena, quel "rallegrarsi" dei discepoli nel vedere il Signore, mostrano l'inclinazione del cuore a voler rimanere con Cristo, ma nell'ambito delle relazioni umane e delle circostanze contingenti, e non di andare nei luoghi celesti con il Cristo risorto. Quanto siamo lenti alcuni di noi a imparare questo, caro fratello!

Pur tuttavia, la nostra prontezza di cuore a impararlo e a metterlo in pratica rende l'esatta misura della nostra intenzione e del nostro desiderio di partire e di essere con Cristo.

Tutto questo lo dico a te come semplice suggerimento; vorrei che fosse l'esperienza dell'anima! Tuttavia io desidero che sia così.


TRATTO E LIBERAMENTE TRADOTTO E ADATTATO, AD OPERA DI CIRO IZZO, DA

Unpublished Letters of JOHN GIFFORD BELLET

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