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Il presepio e l’albero di Natale Anche la rappresentazione del presepio non ha nessun fondamento biblico, ed è noto che la tradizione ascrive a Francesco d’Assisi la paternità del primo presepe, che ideò a Greggio nel 1223. È evidente che questa rappresentazione, pur avendo un valore artistico e folcloristico, è in contrasto con l’insegnamento divino espresso nella Bibbia al secondo comandamento. Infatti è detto: “Non avere altri dii nel mio cospetto. Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù ne’ cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra; non ti prostrare dinanzi a tali cose e non servir loro, perché io, l’Eterno, l’Iddio tuo, sono un Dio geloso …” (Esodo 20:3-5). Ancora, nel Nuovo Testamento è scritto: “Non dobbiamo credere che la Divinità sia simile ad oro, ad argento, o a pietra scolpiti dall’arte e dall’immaginazione umana” (Atti 17:29). Ecco perché, dirà qualcuno, nei paesi protestanti la gente preferisce l’albero di Natale. Da qualche anno, poi, ambedue queste tradizioni si integrano nella festa natalizia. Se la rappresentazione del presepio è iniziata nell’ambito del Cristianesimo di massa, l’albero di Natale ha origini prettamente pagane. Gli antichi popoli pagani germanici usavano decorare le loro case con piante sempreverdi che consideravano come sede degli spiriti della vita e della fecondità. Infatti, alcune di queste piante sempreverdi, come il pungitopo ed il vischio, non soltanto erano vitali nelle gelide stagioni invernali, ma producevano perfino dei frutti, a riprova della loro fertilità. Questi alberi o arbusti erano quindi decorati con luci e fronzoli diversi. Ad esempio i Druidi, sacerdoti degli antichi popoli celtici, i quali abitavano soprattutto nel moderno Galles, in Gran Bretagna, adornavano, nel periodo di fine anno, i rami di questi alberi con mele decorate. Dopo queste considerazioni di carattere biblico e storico qualcuno dirà: “D’accordo, ma che male c’è nel celebrare il Natale? Non è forse una buona occasione per richiamare l’attenzione di tutti, credenti ed increduli, a ricordare Gesù ed onorarLo? Non ci sarebbe nulla da obiettare a questa tesi, se la Sacra Scrittura, la Bibbia, Rivelazione di Dio all’uomo, non avesse parlato tanto chiaramente a riguardo, ordinando di evitare quanto è pagano ed inutile, ed invitando i cristiani fedeli all’Evangelo a condursi “… come figliuoli di luce … esaminando che cosa sia accetto al Signore” (Efesini 5:8-10) ed esortando a non partecipare “… alle opere infruttuose delle tenebre …” (Efesini 5:11). Già nell’Antico Testamento Dio richiamava il Suo popolo: “Così parla l’Eterno: Non imparate a camminare nella via delle nazioni … Poiché i costumi dei popoli sono vanità; giacché si taglia un albero nella foresta e le mani dell’operaio lo lavorano con l’ascia; lo si adorna d’argento e d’oro, lo si fissa con chiodi e coi martelli perché non si muova” (Geremia 10:2-4). Nel Nuovo Testamento è scritto: “ … qual comunione tra la luce e le tenebre? E quale armonia fra Cristo e Beliar? O che v’è di comune tra il fedele e l’infedele?” (II Corinzi 6:14, 15). Tutto quanto è tradizione e paganesimo è detestato da Dio. Gesù stesso riprende duramente i religiosi del Suo tempo: “… perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione? … Avete annullata la parola di Dio a cagione della vostra tradizione” (Matteo 15:3, 6); “Voi, lasciato il comandamento di Dio, state attaccati alla tradizione degli uomini” (Marco 7:8). Obiettivamente e coerentemente con l’insegnamento della Parola di Dio, non possiamo, quindi, accettare le tradizioni umane, anche se esse sono espressioni folcloristiche e culturali, poiché desideriamo continuare ad essere saldi nella verità rivelataci nella Bibbia da Cristo, nostro Signore, ancorati alla “… fede, che è stata una volta per sempre trasmessa ai santi” (Giuda 3). Ragioni culturali Gli evangelici pentecostali italiani per la loro peculiare formazione religioso-culturale, coerenti con la propria esperienza di fede, fin dal principio hanno desiderato ripudiare tutto quello che non era fondamentalmente biblico e, in conseguenza del fatto che la maggior parte di loro provenivano da un sistema religioso formale intriso di riti e di cerimonie, vollero “rompere” totalmente con il passato che, tra l’altro, ricordava loro soltanto sopraffazione ed ignoranza. Liberati dalla potenza dell’Evangelo di Cristo, essi scopersero la gioiosa possibilità di “adorare Dio” in “spirito e verità”, in una forma spontanea, libera dalla pastoia di liturgie precostituite. Perciò rinunciarono a quelle festività che ormai erano più manifestazioni popolari e di folclore, che cristiane in senso spirituale e biblico, affermando che essi ricordavano in ogni momento Gesù nato, morto e risorto per loro, perché lo Spirito Santo, con la Sua azione continua, faceva del Signore, non soltanto un grande personaggio storico del passato, ma il loro Maestro, Consolatore e Sovrano. Ciò non significa, però, che nei periodi delle festività suddette, questi giorni non si debbano utilizzare per scopi evangelistici, richiamando l’attenzione della gente al vero senso dei testi biblici. Difatti, si rende evidente come queste feste abbiano sempre più scopi commerciali e di riposo, piuttosto che fini spirituali. Ancora oggi, se interrogati, gli evangelici pentecostali risponderanno: “Per noi Natale, Pasqua, Pentecoste sono tutti i giorni dell’anno, perché Gesù vive in noi per fede”. La risposta potrà sembrare semplicistica, ma chiunque ha incontrato Cristo, e Lo ha accettato come proprio personale Salvatore, vive in modo così attuale la propria esperienza di fede da ritenere inutile, anzi controproducente, uniformarsi a feste tradizionali, perché Gesù è una realtà vivente e quotidiana. F. Toppi – A domanda risponde III
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