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I GIOCHI DELL'ANTICHITA' (2° parte)

 

Equipaggiamento degli atleti

Considerato che gli atleti greci gareggiavano nudi, una discussione sul loro equipaggiamento potrebbe sembrare superflua. In realtà, pur non indossando alcuna uniforme, gli atleti olimpici avevano in dotazione alcuni "arnesi". 

Il primo era l' αρυβαλλος (traslit.= ariballos), un contenitore per olio d'oliva che i ginnasti stendevano sul proprio corpo prima di esercitarsi e prima della competizione. Gli studiosi hanno discusso molto sul motivo per il quale gli atleti si ungevano, dando origine a diverse interpretazioni. Taluni hanno suggerito che lo sfregamento del corpo con olio favorisce la regolazione termica corporea, inducendo il riscaldamento muscolare prima dell'allenamento; secondo altri, l'olio esercitava una funzione protettiva dell'epidermide dal sole e dagli agenti atmosferici. Un'altra spiegazione ha matrice estetica: cospargersi con olio dà lucentezza al corpo facendone risaltare la muscolatura e quindi lo rende più gradevole a vedersi (cfr. gli attuali body-builders). Altri ancora hanno affermato che spalmarsi addosso dell'olio inibisce la perdita di liquidi corporei, a cui un atleta è soggetto durante la performance.  

Fonti antiche sembrano concordare con alcune di queste spiegazioni. Luciano di Samosata (II sec. d.C.), ad esempio, sostiene che l'olio è un ottimo tonificante per la pelle, come per il cuoio, che viene da esso rigenerato e reso più resistente ai laceramenti. Plinio, invece, sottolinea le proprietà difensive dell'olio; per il famoso naturalista protegge il corpo dal freddo. È infine possibile che questa pratica abbia avuto pure una connotazione religiosa: l'atleta, cospargendosi d'olio, si consacrava alla divinità. Dal canto loro, i romani non nutrivano dubbi: ricoprire il corpo d'olio era un ulteriore aspetto dell'estrema impudicizia dei greci.

L'altro strumento in dotazione all'atleta era lo strigile (στλεγγις,  traslit.= stlengis), ricurvo e concavo, solitamente fatto di bronzo o di ferro, col quale gli antichi tergevano il corpo dall'acqua, dal sudore o dall'olio. I vasi greci sono pieni di dipinti che raffigurano l'αποξυομενος (traslit.= apoxiomenos, colui che si deterge). Infine, ogni buon atleta disponeva di una spugna (σπογγος, traslit.= spongos), con la quale ultimava le operazioni di lisciatura e asciugatura del corpo.

Le discipline agonistiche

La corsa

I greci praticavano primariamente 5 discipline agonistiche: la corsa (δρομος, traslit.= dromos), il salto (αλμα, traslit.= alma), il lancio del disco (δισχός, traslit.= discos), il pugilato (πυγμική, traslit.= pygmikè, da πυξ [traslit.= pyx, pugno]) e la lotta (παλή, traslit.= palè).

In questa sede ci stiamo occupando ovviamente di quelle a cui allude la Bibbia: la corsa e la lotta, che aveva due forme, il pugilato e la lotta propriamente detta. La corsa a piedi era una specialità imprescindibile per i greci, ma aveva grande importanza per tutti i popoli dell'antichità (Cfr. 2 Sam. 1:23; 1 Cron. 12:9). Ogni buon guerriero doveva essere esperto in questa attività fisica, poiché essa era utile sia in un'eventuale ritirata che per l'aggressione del nemico. 

I corridori si disponevano lungo una griglia di partenza costituita sostanzialmente da una corda tesa, attendendo il via. Quando la corda veniva fatta cadere mediante uno speciale congegno, gli atleti scattavano in avanti. Abbiamo un'istantanea della partenza di una squadra di corsa, raccontataci in un epigramma dedicato al corridore Ario da Tarso e la descrizione dettagliata di un incontro tra i pugili Entello e Darete, narrato da Virgilio. Gli atleti, come già accennato, correvano nudi col corpo cosparso di un unguento glutinoso, a base di olio, cera e polvere, chiamato κερομα (traslit.= ceroma) fatto assorbire dalla pelle mediante strofinio; serviva a chiuderne i pori e conferire maggior tono ai muscoli, contrastando inoltre l'eccessiva sudorazione che accentua il senso di stanchezza.  

Il torneo si svolgeva su un campo in terra battuta chiamato σταδιον (traslit.= stadion, vedi nota 32) o αυλος (traslit.= aulos). Tra i vari corridori c'era la particolare categoria degli οπλιτοδρομοι (traslit.= oplitodromoi), che correvano armati di elmo e scudo. Le due estremità dello stadio erano chiamate αφεσις (traslit.= afesis, lasciar andare) e τελος (traslit.= telos, linea di arrivo, termine).  

Il giudice sostava vicino al traguardo (lo σκοπὸν, traslit.= skopon,  oggetto sul quale si fissa lo sguardo, cfr. Fil. 3:14) che era chiaramente visibile da un punto all'altro dello stadio in modo che l'atleta, durante la corsa, lo fissasse come punto di riferimento (da cui l'espressione paolina ως ουκ αδηλως [traslit.=  ōs ouk adēlōs, non in modo incerto, 1 Cor. 9:26). Gli ultimi arrivati erano i καταλειπτεσται (traslit.= kataleipestai), da καταλειπω (traslit.= kataleipō, lasciare indietro) detti anche υστερειν (traslit.= ysterein, mancanti, inadeguati, dal verbo υστερεω [traslit. ystereō], trovarsi in ritardo, non riuscire a ottenere).

Particolare curioso: i corridori si sforzavano di ridurre le dimensioni della milza, poiché le fitte da essa provocate durante la corsa creavano problemi. Plinio narra che i greci, per ovviare a questo disturbo, utilizzavano la pianta da loro chiamata hippuris (somigliante a una coda di cavallo e da qui il nome equiseto o coda cavallina). Il naturalista precisa che bisognava metterla a cuocere in una pentola di terracotta piena d'acqua fino all'orlo, bevendone il decotto ricavato nella dose di un'emina (misura di capacità per materiali asciutti, equivalente a circa 23 litri) per tre giorni consecutivi. Plinio continua dicendo che era assolutamente proibito mangiare cibi grassi il giorno prima di assumere la pozione.

Il pugilato

In origine, nel pugilato (πυγμη, traslit.= pugmē; cfr. il  termine πυκτευω [traslit.= pukteuō] usato da Paolo in 1 Cor. 9:26: Ἐγὼ τοίνυν οὕτως τρέχω ὡς οὐκ ἀδήλως οὕτως πυκτεύω, ὡς οὐκ ἀέρα δέρων (traslit.= Egṑ toínun hoútōs trékhō hōs ouk adḗlōs hoútōs pukteúō, hōs ouk aéra dérōn ASCOLTA 1 COR. 9:26 IN GRECO) si combatteva a mani nude. In seguito i pugili presero a rivestire mani e polsi con strisce di pelle di bue ucciso da poco (chiamate in latino, cestus e in greco ιμαντες πυκτικοι (traslit.= imantes pyktikoi)  e successivamente, per arrecar danno al concorrente avversario, le riempirono con pezzetti di piombo o di ferro. Contrariamente a quanto avveniva per i corridori, i pugili avevano cura di rendere il proprio corpo pingue e nerboruto, per sopportare meglio i colpi dell'avversario e rendergli più difficile la vittoria. I latini chiamavano ironicamente pugili tutte le persone grasse (anche le donne). Alcuni scrittori parlano dell'amphotide, una calotta protettiva per il capo, ma pare che non esistano evidenze monumentali a supporto dell'affermazione.

I pugili venivano accoppiati a sorte: in un'urna d'argento si mettevano delle palline grandi quanto un fagiolo, sulle quali era incisa una lettera. A ciascuna lettera corrispondeva una coppia di atleti. Quelli con la stessa lettera, combattevano assieme; se erano dispari di numero, quello rimasto senza avversario doveva combattere in ultimo contro i vincitori degli altri; era quindi, in un certo senso, privilegiato, perché affrontava un avversario già spossato. Erano abituati a sopportare con paziente tenacia le fatiche e le percosse. Spesso stavano per diverso tempo a scrutarsi a vicenda, cercando di scoprire il punto più debole dell'altro. Qualche volta agitavano rapidamente i pugni per impedire che l'avversario si accostasse, poi si assalivano con una gragnola di colpi. Capitava che il più agile riusciva a sottrarsi più volte ai colpi dell'avversario, stremandolo.

 L'abilità del pugile stava anche nello schivare i colpi, facendo in modo che i colpi del rivale andassero a vuoto (l'accenno è a 1 Cor. 9:26, ουκ αερα δερων, traslit.= ouk aera derōn, non come chi batte l'aria ASCOLTA QUESTA ESPRESSIONE IN GRECO). Alcuni pugili si ritiravano dallo scontro ricoperti di ferite, altri venivano trasportati via mezzi morti e vomitanti sangue. I colpi, inferti sotto gli occhi, erano chiamati υπωπια (traslit.= ypopia, da υπωπιαζο [traslit.= ypopiazo], molestare, colpire fino a provocare lividi e ferite o anche dare un insopportabile fastidio.

La lotta

Infine, c'era la παλη (traslit.=palè), la lotta vera e propria, definita da Plutarco lo sport più raffinato e richiedente la massima abilità, perché basato su stratagemmi e simulazioni, come d'altronde ancora oggi. Il lottatore doveva innanzitutto disorientare l'avversario con qualche finta mossa; talvolta quello più abile fingeva di voler afferrare l'avversario in un punto e poi, con uno scatto felino, lo attaccava nel punto rimasto scoperto. Tuttavia, benché la lotta fosse impostata sulle astuzie, si insisteva sull'osservanza di certe regole. Era infatti proibito colpire, tirare calci e dare spinte ma, strano a dirsi, era permesso disarticolare le dita dell'avversario, forse perché serviva a migliorare la presa. I lottatori erano noti per la loro mole.  Anche per loro, la corpulenza era un fattore determinante: un peso maggiore rendeva più difficoltoso l'atterramento dell'avversario, condizione che avrebbe reso più facile la vittoria sul rivale.

 Sebbene difficile da attuare in una disciplina agonistica cruenta come la lotta, gli atleti greci cercavano sempre di assicurare uno spettacolo che, oltre alla prestanza fisica, esibisse grazia e plasticità, aspetti molto apprezzati dagli spettatori.

Generalmente si eseguivano due tecniche di lotta: in piedi e a terra. La prima e più comune, era detta τριαγμό (traslit.= triagmò) perché consisteva nell'atterrare il contendente per tre volte (cfr. 2 Cor. 4:9), senza cadere a propria volta.  Il secondo stile, praticato in epoca posteriore e preferito da Platone, sviluppava la parte superiore del corpo. In questo tipo di combattimento, quando i contendenti cadevano a terra, la lotta proseguiva finché uno dei due si dichiarava sconfitto.

Tra le numerose finte, prese e simulazioni praticate dagli atleti, le più importanti erano buttare a terra l'avversario facendolo inciampare e afferrandogli i piedi con le mani. Un altro accorgimento usato frequentemente dai lottatori era quello di avvolgere la gamba intorno alla coscia dell'avversario. Luciano usa alcuni termini del gergo tecnico dei lottatori che danno qualche luce sulle diverse tecniche di combattimento: ωθιομοι (traslit.= otiomoi, spingere), περιπλοκαι (traslit.= periplokai, afferrare), λυγισμοι (traslit.= lyghismoi, torcere gli arti).

 Oltre a queste, c'erano altre tecniche che avevano per oggetto la mano del lottatore. Per esempio, un atleta afferrava le punte delle dita dell'avversario e gliele slogava o spezzava, senza mollare la presa finché il dolore non costringeva la vittima a dichiararsi sconfitto, a voce o alzando il pollice. Spesso questa tecnica era solo un preliminare del combattimento vero e proprio, altre volte ne era un aspetto. Il lottatore Sostratos di Sicione divenne famoso per l'esperienza acquisita in questa tecnica.

 

I giochi dell'antichita' (1 parte)

 


Indice dei vari testi consultati

 1.      Matteucci A., Gli sport Olimpici nell'Antichità

2.      Harwood T., Grecian Antiquities

3.      Gardiner E. N.,Greek athletic sports and festivals

4.      Newby Z., Greek Athletics in the Roman World

5.      Charles Anton, A Manual of Grecian antiquities

6.      Crowther N. B., Sport in Ancient Times

7.      Christesen P., Olympic Victor Lists and Ancient Greek History

8.      Gardner P., New chapters in Greek history

9.      Hyde W. W., Olympic victor monuments and Greek athletic art

10.  Golden M., Sport In the Ancient World

11.  The Olympic Games. How They All Began, a cura della Biblical Archaeology Society

12.  Cornford M. F., The origin of the olympic games

13.  Scanlon F. T., Eros and Greek Athletics

14.  Conybeare W. J. e Howson S. J., The Life and Epistles of Saint Paul, vol. 2

15.  Cleveland D. C., A Compendium of Grecian Antiquities

16.  Dunbar G., Archæologia græca: or the Antiquities of Greece

17.  Smith W., A dictionary of Greek and Roman antiquities

18.  Parkhurst J. A Greek and English Lexicon to the New Testament

19.  Liddell H. G., Scott R., A Greek-English lexicon

20.  Bullinger E.W., A critical Lexicon and Concordance to the Greek and English New Testament

21.  Carpenter W., The biblical companion

22.  H. W. G. Lampe, A Patristic Greek Lexicon

23.  Smith W., Dictionary of the Bible, vol. 1

24.  Adam A., James Boyd J., Da Ponte L., Roman antiquities: or An account of the manners and customs of the Romans

25.  Howson S. J, The Metaphors of St. Paul

26.  Ferrari G, Il costume antico e moderno, vol. 2

27.  Moulton F. W. E Geden S.A., A Concordance to the Greek New Testament,

28.  L. W. C. Grimm, Thayer H. J., A Greek-English Lexicon of the New Testament, being Grimm's Wilke's Clavi Novi Testamenti

29.  Wigram V. G., The Englishman's Greek concordance of the New Testament

30.  Adam A., James Boyd J., Da Ponte L., Roman antiquities: or An account of the manners and customs of the Romans

31.  Plummer M. E., Athletics and Games of the Ancient Greek

32.  Robinson A., A Greek and English Lexicon of the New Testament

33.  Cremer H., Biblico-Theological Lexicon of New Testament Greek

34.  Garbarino G., Letteratura latina. Excursus sui generi letterari


Variava nelle dimensioni, ma solitamente era all'incirca della grandezza di una palla da baseball,  ed era richiudibile con un tappo di sughero.

Anacharsis, 24. È un'opera in forma di dialogo tra Anacharsis e Solone sulla pratica ginnica.

Storia Naturale, XV, 4, 19.

Si noti l'analogia con l'appellativo greco di Gesù, che è Χριστος (traslit.= Cristos) colui che è unto.

Celeberrima è l'apoxiomenos di Lisippo, scultore di corte di Alessandro magno.

Il πενταθλον (pentatlon).

Cfr. παλαιστηριον (traslit.= palaisterion), luogo dove si insegnava e praticava la lotta, da cui il nostro palestra. Cfr. H. W. G. Lampe, A Patristic Greek Lexicon, pag. 998.

Achille, l'eroe omerico, è noto infatti come ποδας ωκυς  (traslit.= podas ocus), piè veloce. Cleveland D. C., A Compendium of Grecian Antiquities, pag. 130.

Era la transenna lungo la quale si allineavano per la partenza i corridori, chiamata in greco υσπλεξ  (traslit.= hysplex, dal cappio della trappola il cui rumore, quando scattava per catturare la preda, evocava quello della corda caduta a terra per dare il via agli atleti. Cfr. Liddell H. G., Scott R., A Greek-English lexicon, pag. 1905. Se ne parla esaustivamente in Valavanis P., HYSPLEX, The Starting Mechanism in Ancient Stadia.

Nei giochi nemei, lo starter gridava απιτε (traslit.= apite, via).

" Epigramma" significa etimologicamente iscrizione, più precisamente scritta (greco, gramma) posta sopra (greco, epi) una lastra sepolcrale, una lapide commemorativa, un oggetto offerto in voto. Garbarino G., Letteratura latina. Excursus sui generi letterari, pag. 51.

Riportata in The Young men's magazine, vol. 1,  pag. 185, pubblicato sotto la sovrintendenza della British and foreign young men's society. 

Eneide, libro V, rigo 426 e segg.

Tucidide, Storia, Libro I, sez. VI, 5-6. Inizialmente, gli atleti indossavano una sorta di perizoma alla cintola. Non si sa bene quando e perché sia poi stato introdotto la consuetudine di gareggiare nudi. Il geografo e scrittore Pausania (II sec. a.C.) narra che durante la XV Olimpiade, svoltasi nel 720 a.C., al concorrente Orsippo di Megara, durante la corsa, cadde il perizoma e, rimanendo nudo, vinse la gara. Da quell'occasione, tutti seguirono il suo esempio, auspicando di avere la sua stessa fortuna. Esistono anche spiegazioni addotte da altre fonti, ma in buona sostanza pare che gli stessi antichi non conoscessero con certezza il motivo e l'origine. Miller S., Ancient Greek Atheletics, pag. 11 e segg.). Cfr. Ebr. 12:1.

Cfr. Giovenale, Satire, VI, 246. Nei giochi dell'antica Roma, il ceroma veniva applicato agli atleti da certi schiavi chiamati aliptae (Cfr. Adam A., James Boyd J., Da Ponte L., Roman antiquities: or An account of the manners and customs of the Romans, pag. 227), termine che deriva dal greco αλειφω (traslit.= aleifō, ungersi la pelle con olio,  Liddell H. G., Scott R., A Greek-English lexicon, pag. 62; cfr. Bentivoglio F., Lettere di M. T. Cicerone, vol. 3, nota 21, pag. 323. Talvolta questi schiavi svolgevano anche mansioni di ιατραλειπτης  (traslit.= iatraleiptes), una sorta di aiutanti medici che curavano con frizioni e unguenti, in sostanza dei "massaggiatori" (cfr. ad es., Plinio il vecchio, Storia Naturale, XXIX, 2 e Plinio il giovane, Epistole XXIII, 10, che accenna alla figura del medicuntore Arpocrate).

L'applicazione del ceroma e il successivo sfregamento del corpo con l'unguento erano fatti mentre gli atleti trattenevano il fiato, tenendo i muscoli in tensione e opponendo, per così dire, una sorta di resistenza alle mani dell'alipta, il che agevolava l'assorbimento della sostanza nella pelle. Cfr. Plutarco, De tuenda sanitate praecepta, sez. XVI.

Tra i suoi ingredienti c'era sabbia africana. Ne sono state rinvenute alcune anfore piene nei bagni di Tito; una di queste anfore è attualmente esposta al British Museum. Smith W., A dictionary of Greek and Roman antiquities, pag. 44. L'olio del ceroma destinato alle persone più ragguardevoli era profumato e la sabbia proveniva dall'Egitto o dall'Italia. Chiosso J., Gymnastics, an essential branch of national education, both public and private, pag. 19.

Liddell H. G., Scott R., A Greek-English lexicon, pag. 361.

Liddell H. G., Scott R., A Greek-English lexicon, pag. 1773-1774.

Per maggiori particolari sulle metafore usate dall'apostolo Paolo sulle competizioni sportive dei greci, Howson S. J, The Metaphors of St. Paul, pag. 125 e segg.

Cfr. H. W. G. Lampe, A Patristic Greek Lexicon, pag. 1466. Vedi 2 Cor. 11:9: και παρων προς υμας και υστερηθεις ου κατεναρκησα ουθενος το γαρ υστερημα μου προσανεπληρωσαν οι αδελφοι ελθοντες απο μακεδονιας και εν παντι αβαρη εμαυτον υμιν ετηρησα και  τηρησω  (traslit.= kaì parṑn pròs ymãs kaì ysterētheìs ou katenárkēsa outhenόs: tò gàr ystérēmá mou prosaneplḗrōsan hoi adelphoì elthόntes apò Makedonías: kaì en pantì abarẽ emautòn humĩn etḗrēsa kaì tērḗsō). ASCOLTA 2 COR. 11:9 IN GRECO 

Cfr. Ebr. 4:1: "Stiamo dunque attenti: la promessa di entrare nel suo riposo è ancora valida e nessuno di voi deve pensare di esserne escluso". Il testo greco suona così: Φοβηθῶμεν οὖν μήποτε καταλειπομένης ἐπαγγελίας εἰσελθεῖν εἰς τὴν κατάπαυσιν αὐτοῦ δοκῇ τις ἐξ ὑμῶν ὑστερηκέναι (traslit.= Phobēthõmen oũn mḗpote kataleipoménēs epangelías eiseltheĩn eis tḕn katápausin autoũ dokẽi tis ex humõn husterēkénai). ASCOLTA EBR. 4:1 IN GRECO . Cfr. Liddell H. G., Scott R., A Greek-English lexicon, pag. 898. Il termine greco evidenziato in grassetto (kataleipomenes) è usato nel N.T. sia in forma attiva che in forma passiva: indica colui che lascia, che viene lasciato dietro, che trascura o che viene abbandonato, che si allontana da qualcosa o da qualcuno. Cfr. 2 Pie. 2:15.

 E' analogo all'altro termine, υστερειν (traslit.= ysterein), che significa giungere in ritardo, venire troppo tardi. Cfr. Thayer H. J., A Greek-English lexicon of the New Testament, being Grimm's Wilke's Clavis Novi Testamenti, pag. 333. Ricorre ben 25 volte nel N.T. Applicato alla vita dell'atleta cristiano, mette in guardia dall'essere lasciati indietro e quindi dal non riuscire a raggiungere il traguardo, cioè la salvezza dell'anima. 1 Pie.1:9.

Il dolore alla milza è il classico sintomo del corridore principiante, che però sparisce con il semplice allenamento. Si ha notizia di un medico tedesco, Godfrey Maebius, che, ancora nel XVII sec., eseguì un'operazione per asportare il fastidioso organo  a un corridore, cfr. Sears S. E., Running through the ages, pag. 47.

Evidentemente, anche se a livello empirico, avevano intuito le virtù di questa pianta, che possiede attestate proprietà medicinali coagulanti, emostatiche, cicatrizzanti e mineralizzanti, come ci fa sapere Alaimo, F. Erboristeria planetaria. Proprietà curative e simbologia delle piante, pag. 112-112.

Camera  di  Commercio  Industria Artigianato  e  Agricoltura di Cuneo, RACCOLTA PROVINCIALE DEGLI USI - ANNI 1990-2000 - edizione 2003. Approvata con delibera di Giunta n. 474  del 15.10.2002, pag. 20

Plinio, Storia Naturale, XXVI, 83.

  Harwood T., Grecian antiquities,  pag. 264

Smith W., A dictionary of Greek and Roman antiquities, pag. 234-235.

Virgilio, Eneide, V, 404.

Tito Flavio Clemente, soprannominato l'Alessandrino (nato verso l'anno 150 a.C.), in Stromata (greco, Miscellanee), I, pag. 307, dice che la loro invenzione sarebbe da attribuire ad Amico, il terribile re dei Bebrici, figlio di Nettuno (Poseidone) e della ninfa Melia (Migotto L., Argonautiche orfiche, nota 63, pag. 129), che sfidando temerariamente il dioscoro Polluce in una lotta al pugilato, rimase ucciso. Pice N., La similitudine nel poema epico, pag. 103-104.

Si quæ est habitior paullo, pugilem esse aiunt (latino, "se una donna è un po' corpulenta la chiamano pugile, la mettono a dieta"). Terenzio, L'Eunuco, Atto II, scena III.

Ferrari G, Il costume antico e moderno, vol. 2, pag. 215.

Un atleta, anziché ritirarsi dal combattimento, ebbe il coraggio di ingoiare i denti che gli erano saltati via a causa di un terribile colpo sferratogli dall'avversario. Questi, visto che il suo pugno non aveva abbattuto lo sfidante, si dichiarò vinto. Eliano, Varia Historia, X, 19,

Cfr. Moulton F. W. E Geden S.A., A Concordance to the Greek New Testament, pag. 1068;  L. W. C. Grimm, Thayer H. J., A Greek-English Lexicon of the New Testament, being Grimm's Wilke's Clavi Novi Testamenti, pag. 646. Vedi 1 Cor. 9:27.

Il verbo indica l'azione compiuta dalla vedova in Luca 18:5: διά γε τὸ παρέχειν μοι κόπον τὴν χήραν ταύτην, ἐκδικήσω αὐτήν, ἵνα μὴ εἰς τέλος ἐρχομένη ὑπωπιάζῃ με (traslit.= diá ge tò parékhein moi kόpon tḕn khḗran taútēn, ekdikḗsō autḗn, hína mḕ eis télos erkhoménē hupōpiázēi me) ASCOLTA LUCA 18:5 IN GRECO. L. W. C. Grimm, Thayer H. J., A Greek-English Lexicon of the New Testament, being Grimm's Wilke's Clavi Novi Testamenti, pag. 646; Wigram V. G., The Englishman's Greek concordance of the New Testament, pag. 666. 

Cfr. Ef. 6:12. Designa il combattimento tra due persone, in cui ciascuna si sforza di far cadere a terra l'altra e le cui sorti si decidono allorché il vincitore è in grado di  θλιβειν και κατεχειν (traslit.= tlibein kai katekein, Aristotele, Retor., I, 5, 14) abbrancare e bloccare l'antagonista sopraffatto, immobilizzandolo con la mano sul collo. L. W. C. Grimm, Thayer H. J., A Greek-English Lexicon of the New Testament, being Grimm's Wilke's Clavi Novi Testamenti, pag. 474.

Cfr. Virgilio, Eneide, V, 437.

I greci perseguivano sempre il raggiungimento dell'ideale estetico, che faceva della simmetria, della proporzione e dell'armonia i suoi cardini essenziali, specie nell'atletica. Patrucco R., Lo sport nella Grecia Antica, pag. 33. Cfr. anche  Herausgegeben Heinz H. G., Winckelmann und die Mythologie der Klassik: narrative Tendenzen in der Ekphrase der Kunstperiode, pag. 129. Si narra che il primo a trasformare questa disciplina da dimostrazione di forza e di possanza ad arte sia stato Teseo, Pausania, Attica, I, 39. Ancora Pausania in Descrizione della Grecia, VI, 3, 6 racconta che Kratinos di Egeria (città dell'Acaia), un ragazzo (cfr. Miller C. M., Athens and Persia in the Fifth Century BC: A Study in Cultural Receptivity, pag. 223), fu l'atleta più attraente e abile del suo tempo. Egli vinse un incontro in cui brillò più per la sua abilità, che per la forza e gli fu concesso di avere in Altis non solo la sua statua, ma anche quella del suo maestro. Plummer M. E., Athletics and Games of the Ancient Greeks, pag. 44.

Ulteriori particolari su questa tecnica si trovano in, Plummer M. E., Athletics and Games of the Ancient Greeks, pag. 45.

Cfr. Harwood T., Grecian antiquities, pag. 266.

Era conosciuto come ἀκροχερσίτης (traslit.= acrochersites, lo spezza dita, Pausania, Descrizione della Grecia, VI, 4, 1-3) e fu tanto popolare nella sua città che alcune monete di Sicione recavano il suo profilo. Oltre le sue tre vittorie ad Olimpia, aveva riportato 12 trionfi ai Nemei e agli Istimici e due ai Pitici. Plummer M. E., Athletics and Games of the Ancient Greeks, pag. 47.

 

 

     
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