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Data di pubblicazione : 16/02/2013

 

SULLA GIUSTIZIA DIVINA

di Horatius Bonar

 

 

Horatius BonarCome sarà l'uomo reputato giusto davanti a Dio? La risposta di Dio alla domanda dell'uomo.  

Come posso io, un peccatore, accostarmi a Colui nel quale non c'è peccato e guardarlo tranquillamente in volto?

È una grande domanda che ciascuno di noi, in un tempo o in un altro, si sarà posta. Solleva uno dei problemi più gravi di ogni età, che l'uomo ha sempre cercato di risolvere. Non lo si può eludere: dev'essere affrontato.

I vari tentativi dell'uomo di dare risposta a questa domanda hanno ampiamente mostrato che egli non ha affatto colto nel segno. Chissà, forse non capisce la vera importanza della domanda che sta facendo,  né scorge il carattere ostile di quel male che sente ancora essere una barriera tra lui e Dio.

Che le molteplici e complicate soluzioni al problema che ha afflitto l'umanità, sin da quando il peccato è entrato nel mondo, siano state del tutto insoddisfacenti non meraviglia, vedendo quanto è superficiale il senso che l'uomo ha della propria colpa, quanto è alto il concetto che ha di sé stesso e quanto è imperfetta la sua opinione di Dio.

Ma il fatto che, quando Dio si è interposto come tramite, per rispondere all'interrogativo e risolvere il problema, l'uomo sia così lento ad accettare la soluzione divina indicata nella Parola di Dio, tradisce un'ottusità e un'ostinatezza difficili da comprendere.

La propensione per i propri punti di vista che l'uomo ha sempre manifestato su questo punto risulta indecifrabile, se non presupponiamo alcuni fattori, e cioè:  l'inadeguatezza del suo criterio di valutazione delle forze malefiche, contro le quali dice di lottare; la scarsa cognizione del caos spirituale che si è prodotto in lui, la percezione assai vaga di cosa siano la legge e la giustizia, la triste inconsapevolezza dell'Essere divino col quale, tanto in veste di legislatore quanto in quella di giudice, sa di aver a che fare e, infine, la considerazione  alquanto misera della verità e della santità eterne. L'uomo ha sempre considerato il peccato come una disgrazia, non come un crimine, come una malattia, non come una colpa, come un caso clinico, non come un caso giudiziario.

Sta in questo la sostanziale fallacia di qualsiasi credo religioso o sistema teologico meramente umano. Essi trascurano l'aspetto giudiziario della faccenda, sul quale invece va imperniata la vera risposta, non ammettendo la colpevolezza o la delittuosità del malfattore, elementi che vanno trattati prima ancora di poter fornire una qualsiasi risposta o accenno a una risposta. Se è vero che Dio è un Padre, è altrettanto vero che è Giudice: ora, deve farsi da parte la figura del Giudice a favore di quella del Padre, o viceversa? Dio ama il peccatore, ma odia il peccato. Dio dovrà forse smorzare il suo amore per il peccatore col suo odio per il peccato, o soffocare il suo odio per il peccato nell'amore che nutre per  i peccatori? Dio ha giurato di non prendere piacere nella morte di un peccatore (Ezec. 33:11), ma altresì che l'anima che pecca, morrà (Ezec. 18:4).

A quale dei due giuramenti dovrà tenere fede? Li rispetterà entrambi? E poi, una simile contraddizione, a prima vista così evidente, potrebbe essere appianata? Quale tra le due promesse è la più salda e la più inconvertibile, quella della misericordia o quella della giustizia? Bisogna fondere legge e amore, se no la grande questione riguardante la relazione del peccatore con il Santo rimane irrisolta.  Non si può applicare l'una a scapito dell'altro, devono sussistere l'uno e l'altro, altrimenti i pilastri dell'universo traballeranno.

L'uomo ha spesso cercato la riconciliazione, poiché ha sempre tenuto presente la difficoltà, ma ha fallito, giacché ha sempre diretto i suoi sforzi a far piegare la legge dinanzi all'amore.  Dio ha messo in atto la riconciliazione e, nel realizzarla, ha fatto sì che trionfassero tanto la legge quanto l'amore. L'uno non ha ceduto all'altra, ma ciascuno ha mantenuto il suo ruolo; anzi, ne sono usciti ambedue onorati e glorificati. Infatti, mai ci fu amore come quello mostrato da Dio, un amore immenso, elevato, profondo e disposto al sacrificio.

E mai ci fu una legge così pura, così grande, così gloriosa eppure così inesorabile. Non lo si chiami compromesso: sia la legge che l'amore di Dio spaziarono liberi nel proprio campo d'azione. Non un solo iota o apice dell'una ha dovuto soccombere all'altro: entrambi sono stati soddisfatti totalmente, l'una in tutto il suo rigore, l'altro in tutta la sua dolcezza.

L'amore non è mai stato amore più concreto e la legge divina non è mai stata legge più vera che nel congiungimento dei due. Fu una riconciliazione senza compromesso: l'onore di Dio è stato fatto salvo, senza sacrificare gli interessi dell'uomo. Ha fatto tutto Dio, e lo ha fatto in maniera estremamente efficace e irreversibile. L'uomo, anche volendo, non avrebbe potuto concepire questo disegno e, in verità, non avrebbe nemmeno potuto. Solo Dio era in grado di elaborarlo e portarlo a compimento, e lo ha fatto trasferendo il caso nei suoi tribunali, perché potesse essere chiarito imparzialmente.

L'uomo non avrebbe potuto entrare in tribunale con quella pendenza, a meno che non avesse avuto la certezza di poter essere assolto. Dio entra nell'aula conducendo con sé l'uomo e il suo caso affinché, basandosi su giusti principi e agendo in modo legale, il caso potesse essere subito risolto, conciliando gli interessi dell'uomo e la giustizia di Dio.

Questo esito giudiziario è l'unica e suprema risposta divina all'eternamente insoluta domanda dell'uomo ″Come potrà l'uomo esser giusto agli occhi di Dio?″ ″Con che cosa verrò in presenza del SIGNORE e mi inchinerò davanti al Dio eccelso?″ (Michea 6:6).

 

Tratto e tradotto a cura di Ciro Izzo dal  libro The Everlasting Righteousness di Horatius Bonar (1808-1889).

 


 

     
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