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Data di pubblicazione : 30/09/2013

ΔΙΚΑΙΟΣΎΝΗ

Dikaiosyne


"Tutta la Scrittura espira Dio ed è utile per armonizzare la nostra vita, per fornirci evidenza della realtà spirituale, per ripristinare totalmente la nostra originaria posizione in Cristo e per addestrarci nella giustizia".


E' solo una parafrasi di 2 Tim. 3:16 che tuttavia è la descrizione minuziosa di ciò che lo Spirito di Dio, sulla base del testo greco, vuole comunicare in questo verso.

Il presente veloce studio vuole occuparsi della parola "giustizia", un concetto di cui si parla spesso, che però non appare ancora del tutto compreso.

La parola viene dal termine greco δίκη (dike), che originariamente indicava una sentenza in un tribunale. In caso di colpevolezza, dopo il provvedimento veniva inflitta una qualche forma di punizione. Ancora oggi, la parola "giudizio" ha una connotazione negativa, anche se, in realtà, non è né negativa né positiva, in quanto esprime solo il parere di un giudice chiamato a dirimere una vertenza legale tra due parti.

La parola "giustizia" usata in 2 Tim. 3:16, in greco ha sempre il background legale di un giudice che attribuisce a ciascuno ciò che gli è dovuto. Per i greci in origine la giustizia era un modello non scritto, apprezzato dalla società, che stabiliva come doveva vivere un cittadino esemplare. Non era qualcosa che ci si imponeva, ma una legge esteriore, non scritta in alcun regolamento, che l'individuo interiorizzava e che alla fine divenne lo stile di vita del popolo greco, il prototipo di quello che doveva essere il "giusto" comportamento.

Con il progresso della società, grazie al sistema legale, queste leggi non scritte venivano tramandate e chi le osservava era ritenuto giusto. Nel mondo ellenico, il giusto era colui che, col suo modo di vivere, contribuiva al buon andamento della società civilizzata e dimostrava come dovesse vivere ogni membro della collettività. Conformemente a questo modo di pensare, la giustizia aveva sempre a che fare con dei rapporti, sia che si stessero adempiendo degli impegni verso le persone, sia che si dovessero mantenere dei voti fatti agli dèi.

Successivamente, la giustizia assunse due significati specifici:

1.       Designava qualcuno che era giusto dal punto di vista giuridico.

2.       Si riferiva alle istanze o al diritto di quelli che erano legalmente giusti.

La giustizia non era tanto l'essere "moralmente" giusti, ma l'essere "legalmente" giusti. La  persona retta era quella che, secondo il responso dei giudici, veniva dichiarato essere "nel giusto". Infatti, nel greco classico, il significato dominante che prevalse fu quello di "parte querelante che si appella ai giudici, che richiede i propri diritti secondo la legge".

La parola ebraica per giustizia anticamente veniva da una parola che significa "teso" o "dritto", che in seguito venne a significare conformità a una "linea" o "regola" stabilita da Dio o da qualcuno.

In italiano non c'è nessuna parola che possa delineare adeguatamente il significato della parola ebraica o greca per "giustizia".  Essa rientra essenzialmente nella terminologia legale e significa:

1.       Una sentenza emessa a proprio favore.

2.       Le conseguenze di un verdetto.

Nel complesso di elementi legali ebraici c'erano sostanzialmente due tipi di casi legali e quindi due tipi di verdetto: i casi penali e i casi civili. I primi richiedevano una sentenza di innocenza o colpevolezza, gli altri il verdetto di giustificati ("nel diritto") o non giustificati (cioè non aventi nessuna pretesa o diritto legale).

Nell'Antico Testamento la giustizia non ha nulla a che fare con ciò che è moralmente giusto o sbagliato. Essa ha a che fare con la legge civile, è una questione di diritti legali, relativa alla proprietà  o all'eredità. Se un giudice in una disputa legale "giustificava" un individuo, non solo gli conferiva la posizione di essere legalmente "nel diritto", ma gli accordava anche tutti i benefici dell'essere "nel giusto", attribuendogli la proprietà, l'eredità o il possesso di ciò che era oggetto di controversia tra le due parti. La "giustificazione" restituiva la proprietà, l'eredità, la posizione o il possesso a un individuo.

Quando Abraamo fu dichiarato giusto per fede (Gen. 15:6), egli non solo adempì i doveri verso Dio, ma ottenne anche tutti i benefici della nuova relazione instaurata mediante il patto con Colui che, adesso, era Dio e Padre. La parola ebraica per "giustizia" ( צְדָקָה, tsedaqah) in effetti comunica i concetti di pienezza e abbondanza e comprende anche il significato di "ricompensa".

Nel Nuovo Testamento, la parola "giustizia" si riferisce a ciò che Dio ritiene giusto dopo il suo esame, ciò che è approvato agli occhi Suoi. Per un credente, l'approvazione (ossia la giustizia, δικαιοσύνη) di Dio inizia col ricevere Gesù Cristo come Salvatore e Signore. Tale scelta cambia il suo stato davanti al Signore da "condannato" a "divinamente-approvato".

Quando la Scrittura espira Dio, noi veniamo ammaestrati, per rivelazione spirituale, a camminare in ogni utilità, diritto, eredità e posizione di autorità, che già possediamo, in Cristo.


Conclusione: la predicazione della Parola di Dio manifesta la Sua presenza e, in virtù dello Spirito Santo, porta alla scoperta di chi siamo veramente in Cristo, e al come vivere nell'autorità conferitaci dalla nostra posizione legale e dall'eredità in Lui.




 

     
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