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I personaggi della Bibbia  

PONZIO PILATO

Probabilmente apparteneva, per discendenza o per adozione, alla gens Ponzia, di origine sannita, che si legò al casato dei Cesari, assicurandosi così una certa stabilità sociale. L'origine del cognomen Pilato è stata fonte di dibattito. Alcuni lo fanno derivare da pileus (latino, cappello), un berretto di feltro che, nell'antica Roma, era il segno della libertà ricevuta. Ma in questo caso, si dovrebbe dire pileatus, cioè portatore di pileus (cfr. Svetonio, Nerone, 57; Tiberio, 4). Inoltre, è difficile che un liberto abbia potuto ottenere una carica così ragguardevole. La vera etimologia del nome sembra piuttosto risiedere in pilum o pila ("pilata agmina", Virgilio, Eneide XII, 121), il giavellotto dei legionari romani. Pilato significherebbe pertanto armato di giavellotto. Dei suoi trascorsi anteriori all'incarico in Palestina non sappiamo nulla, ma la sua nomina, della quale fu debitore a Seiano, personaggio cui Pilato era molto vicino, suggerisce che fosse membro dell'ordine degli equites romani, in cui si veniva ammessi solo se in possesso di almeno 400.000 sesterzi. Pilato fu il quinto (o sesto, se si tiene conto del procuratorato pro-tempore di Sabino, insediatosi durante l'assenza di Archelao, cfr. Giuseppe, Ant. Giud. XVIII, IX, 3; X, 1) procuratore romano della Giudea.  Gli evangelisti lo chiamano hgemon (greco, eghemon), governatore (Matteo 27:2;  Marco 15:1Luca 3:1) ma il giudeo Giuseppe Flavio e lo storico romano Tacito indicano il suo ufficio con termini più tecnici, tra cui procuratore. Il procuratore agiva alle dipendenze del governatore della provincia come esattore delle entrate e giudice nelle cause ad essa collegate. Dal punto di vista tecnico, i procuratores Cæsaris erano competenti solo nella gestione delle province imperiali, cioè quelle che, secondo l'ordinamento giuridico di Augusto, erano affidate alla particolare direzione dell'imperatore senza l'intervento del senato e del popolo e governate da un suo legato. Per essere nominato procuratore della provincia romana della Giudea, Pilato dovette di sicuro superare un esame selettivo all'interno della propria classe, dare prova di notevole esperienza militare e aver ricoperto una o più cariche come quella di prefetto (o tribuno) di una coorte ausiliaria, di tribuno legionario di seconda classe o prefetto di un'ala della cavalleria. L'età più giovane per diventare procuratore oscillava tra i 27 e i 30 anni. i procuratorati variavano in rilevanza; quello della Giudea non era tra i più importanti. I procuratori che svolgevano bene il loro compito potevano aspirare a ulteriori avanzamenti.

Nelle province senatoriali, rette dai proconsoli, i relativi oneri erano assunti dai questori. Tuttavia, a volte in queste province c'erano anche dei procuratores, delegati alla raccolta dei tributi che costituivano il  fiscus Cæsaris (le entrate personali dell'imperatore) distinguendoli da quelli dovuti all'ærarium (le entrate amministrate dal senato). Talvolta, in un territorio piccolo, specie in un'area contigua a una provincia più estesa e da essa dipendente, il procuratore era il capo dell'amministrazione e aveva piena autorità sia in campo militare che giudiziario, anche se doveva rispondere al governatore della provincia collegata. Dopo la deposizione di Archelao (6 d.C.) figlio maggiore di Erode, succedutogli come etnarca, tutta la Giudea fu annessa alla Siria e per governarla fu delegato un procuratore, che aveva sede a Cesarea.

Il mandato di Ponzio Pilato iniziò nel 26 d.C., quando sostituì Valerio Grato, in carica dal 15 d.C. e richiamato a Roma. La storia descrive un Ponzio Pilato scontroso, ostinato, corrotto, violento, avvezzo a sovvertire la giustizia per danaro. Buona parte di quel che conosciamo di Pilato ci viene dagli scritti dello storico giudeo Giuseppe Flavio. Uno dei suoi primi atti ufficiali fu il dislocamento delle truppe in dotazione da Cesarea a Gerusalemme. I vessilli dei legionari recanti l'immagine dell'imperatore, ai quali i soldati prestavano onori divini, penetrarono così per la prima volta nella città santa. L'avversione dei giudei per le immagini, quantunque incomprensibile ai romani, era stata fino a quel momento tenuta in considerazione: i predecessori di Pilato a Gerusalemme avevano utilizzato stendardi senza ornamenti, nel rispetto della legge e della religione giudaica. La politica generale dei romani era di non intralciare i culti dei popoli conquistati. Pilato non stimò questo principio e nottetempo introdusse le insegne militari in città. La mattina dopo, i giudei affluirono in massa a Cesarea, residenza ufficiale del procuratore romano, pregandolo di rimuovere quelle immagini offensive per la loro fede, ma Pilato fu irremovibile; dopo cinque giorni, in cui era rimasto sordo alle rimostranze dei giudei, dette il segnale ai suoi soldati di circondare i sediziosi ordinando di metterli a morte se non avessero sciolto l'assembramento. Ma la minaccia non fece che renderli ancora più determinati: i manifestanti si dichiararono pronti a morire in  massa, piuttosto che approvare quella forma di idolatria (Filone, Leg. ad  Caium) e Pilato, data l'impossibilità di massacrare così tanta gente, cedette e dispose che le insigne militari fossero ricondotte a Cesarea (Giuseppe, Ant. Giud., XVIII, 3, §§ 1, 2; Guer. Giud., II, 9, 2-4). In altre due occasioni spinse i giudei sull'orlo della rivolta; la prima quando, nonostante l'episodio ora raccontato, espose nel suo palazzo a Gerusalemme degli scudi ricoperti d'oro, che poi dovette rimuovere dietro diretto intervento dell'imperatore Tiberio; la seconda fu quando, per costruire un acquedotto che faceva arrivare l'acqua da una distanza di quattrocento stadi (uno stadio romano equivaleva a 185 mt.), si appropriò delle offerte del Tempio (le Corban; cfr. Marco 7:11).

La confisca sollevò una sommossa: Giuseppe narra che "la folla ribolliva di sdegno, e una volta che Pilato si trovava in Gerusalemme ne circondò il tribunale con grandi schiamazzi". (Giuseppe, Guer. Giud. II,175, 9, 4). Ma il governatore, "che già sapeva della loro intenzione di tumultuare, aveva sparpagliato fra la folla i soldati, armati e vestiti in abiti civili, con l'ordine di non usare le spade, ma di picchiare con bastoni i dimostranti, e a un certo punto diede il segnale. I giudei furono percossi, e molti morirono per i colpi ricevuti, molti calpestati da loro stessi nel fuggifuggi. Terrorizzata dalla sorte delle vittime, la folla ammutolì." (Giuseppe, Guer. Giud. II,176-177).  A questi esempi di malgoverno, citati da fonti extrabibliche, va aggiunto il massacro dei galilei a cui accenna l'evangelista, anch'essi odiati dal governatore: "in quello stesso tempo vennero alcuni a riferirgli il fatto dei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con i loro sacrifici" (Luca 13:1). Per farla breve, anche stando alla testimonianza di Filone, storico ebreo residente ad Alessandria d'Egitto, Pilato fu un individuo sempre ostile agli abitanti della Palestina, che approfittò di ogni occasione per maltrattarli e offenderli. Si trovò coinvolto a Gerusalemme nel processo a Gesù, perché era usanza che il procuratore soggiornasse in città durante le grandi ricorrenze giudaiche, per motivi di ordine pubblico. In questa occasione, al tempo dell'ultima pasqua del Signore, Pilato soggiornava nel palazzo di Erode, al cui ingresso Gesù fu portato di primo mattino dai capi sacerdoti e dagli ufficiali del Sinedrio. I giudei, infatti, come sottolinea l'evangelista, non entrarono nel palazzo per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua (Giovanni 18:28).

In Matteo 27:19 l'evangelista  accenna alla moglie di Pilato, cui una pia tradizione attribuisce il nome di Claudia Procula, che taluni hanno voluto ravvisare nella Claudia di 2 Timoteo 4:21

Chi possiede una superficiale conoscenza della storia di Roma, potrebbe con ciò mettere in dubbio la credibilità storica di Matteo. Era infatti insolito che un governatore di province portasse con sé la propria moglie (Senec. De Controv. 25), e nei ferrei regolamenti introdotti da Augusto, non era ammessa una simile autorizzazione, tranne che in particolari e specifiche circostanze (Sveton. Aug. 24). Tuttavia, nel tempo prevalse la pratica opposta e, al tempo di Pilato, la consuetudine era diventata ormai invalsa.

Pilato fu rimosso a seguito di uno spiacevole e inutile massacro di Samaritani. Nel 35 d.C., un falso profeta che aveva acquistato grande notorietà in Samaria, aveva promesso ai suoi seguaci di mostrare gli arredi sacri costruiti da Mosè ritenuti nascosti sul monte Garizim, che per i samaritani era la montagna sacra. Il giorno stabilito, Pilato fece occupare la sommità del mon­te, volendo impedire il raggruppamento di ribelli, non perché desse importanza alla promessa del falso profeta, ma perché temeva che i samaritani, stanchi delle sue vessazioni, avrebbero potuto dar vita a una rivolta. La temuta riunione ci fu e i soldati aggredirono i manifestanti: molti rimasero uccisi, altri furono fatti prigionieri e i più insigni furono poi messi a morte da Pilato. L'assurda carneficina inorridì la comunità dei Samaritani che, tramite il suo senato, presentò formale protesta contro Pilato a Vitellio, legato di Siria e plenipotenziario dell'imperatore nel Medio Oriente; l'accusa fu accolta con attenzione, poiché i samaritani erano fedeli sudditi di Roma. Nell'anno 36, Vitellio lo rimosse dal suo incarico e "mandò uno dei suoi amici, Marcello, perché fosse governatore della Giudea" (Ant. Giud. XVIII, 4, 1) spedendo Pilato a Roma per rispondere del suo operato davanti all'imperatore. Quando giunse a Roma, Tiberio era ormai morto (16 mar­zo del 37) e non fu riconfermato procuratore della Palestina.

Da questo momento in poi non se ne sa più nulla di certo; la sua vita è avvolta nella leggenda. Alcune fonti, tarde e poco attendibili, riportano affermazioni a dir poco fantasiose su questo controverso personaggio. Tra le più bizzarre figura sicuramente il Paradosis Pilati, redatto con fini apologetici, in cui l'imperatore Tiberio, spaventato dalle tenebre calate sull'impero romano alla morte di Gesù, convoca Pilato a Roma, ritenendolo responsabile dell'avvenimento. Pilato è condannato a morte ma prima della sua esecuzione invoca il Signore Gesù perché non sia distrutto insieme ai malvagi ebrei, adducendo a sua difesa la propria ignoranza. La preghiera ottiene risposta: una voce dal cielo gli assicura che tutte le generazioni future lo chiameranno beato e che lui sarà un testimone di Cristo, che alla sua venuta giudicherà le 12 tribù d'Israele. Le parole dell'autore  cristiano Quinto Settimio Florente Tertulliano (155-230 d.C.), per il quale Pilato è "iam sua coscientia christianus" ("nel suo cuore già cristiano"), rispecchiano un sentimento analogo, mentre per il contemporaneo autore dell'apocrifo Vangelo di Nicodemo, Pilato è "incirconciso nella carne, ma circonciso di cuore". Secondo un'altra leggenda riferita nel Mors Pilati, Tiberio, avendo udito parlare dei miracoli di guarigione operati da Gesù in Giudea, ordina a Pilato di spedire a Roma l'uomo dal potere divino. Pilato è costretto a confessare di averlo crocifisso, ma il messo imperiale incontra Veronica, che gli dà il panno su cui è impresso il volto dell'essere divino, attraverso il quale l'imperatore viene guarito. A questo punto, Pilato è chiamato a sottoporsi al processo, al quale si presenta vestito della santa tunica tessuta senza cuciture, alla cui vista l'imperatore desiste dai suoi propositi. In seguito, Pilato è messo in prigione, dove si suicida. Il suo cadavere è gettato nel Tevere, dove provoca burrasche e temporali. I romani allora lo recuperano e, in segno di spregio, lo portano a Vienne, in Gallia. Lì è gettato nel Rodano, producendo i medesimi effetti. Il cadavere è infine sommerso in un laghetto montano, causando il ribollire dell'acqua e venendo poi seppellito a Losania (Lucerna o Losanna?), dove c'è il monte Pilato, che domina il lago di Lucerna. Fonti cristiane, infine, citando non meglio precisati annalisti greci e romani, lo vogliono suicida durante il regno di Caligola (Eusebio, Storia Eccl., II, 7).

Le lettere in parentesi quadra indicano il testo mancante ricostruito dagli studiosi

Nel 1961, durante degli scavi archeologi presso il teatro dell'antica città di Cesarea di Filippo, venne scoperta una lapide su cui si legge il nome di Pilato. Si tratta di un blocco di pietra riportato alla luce da una equipe archeologica milanese.

È possibile che la struttura dove fu trovata l'iscrizione fosse un tempio costruito in onore dell'imperatore Tiberio da parte di Ponzio Pilato, (databile fra il III e IV secolo), nel quale era forse stata riutilizzata come gradino. Il reimpiego ha fatto perdere una parte dell'iscrizione, che attualmente riporta: S Tiberieum [Po]ntius Pilatus [præf]ectus Iuda[ea]e (vedi figura a lato.).  

 

Da  alcuni Pilato è stato descritto come il peggiore dei tiranni, altri hanno arbitrariamente attenuato o addirittura negato le sue colpe. Non abbiamo ragioni di credere che il suo procuratorato sia stato poi così diverso da quello degli altri governatori romani in Giudea. Il fatto che sia rimasto in carica dieci anni (un periodo eguagliato solo dal suo predecessore Valerio Grato) appare comunque un indice del generale successo della sua amministrazione.  Ponzio Pilato era in fondo un figlio del suo tempo, ambizioso e individualista che, a modo suo, fu in qualche modo a tratti animato da senso della giustizia e da indulgenza. Fu insomma uno dei tanti uomini che aspirano a cariche prestigiose non per il nobile piacere di aiutare i propri simili e di promuovere il benessere sociale, ma per puro egoismo, per interesse personale, per amore del potere. Privi di retti principi e non avendo altro obiettivo che la popolarità, essi sono camaleontici e totalmente incapaci di agire con risolutezza e con sacrificio di sé stessi, nei casi in cui la salvaguardia della propria integrità richieda l'esercizio di simili virtù.

 


Nel sistema dei tria nomina (tre nomi, ossia prænomen, nomen e cognomen) dell'antica Roma, la gens era l'insieme degli individui che si riconoscevano discendenti da un capostipite comune. In pratica, era il nostro cognome. Il prænomen di Pilato è sconosciuto.

Il giovane condottiero sannita Gavio Ponzio Telesino umiliò i Romani, facendoli passare sotto le Forche Caudine. I Ponzi vivevano certamente a Telesia, città ricca e importante.

Monchablon E. J., Dizionario compendiato di antichità per maggiore intelligenza dell' istoria antica, sacra e profana, p. 69

Una leggenda tedesca si è curata di colmare la lacuna in modo abbastanza bizzarro. Pilato, figlio illegittimo del re di Mogontiacum (l'attuale Magonza), essendosi macchiato di un delitto, sarebbe stato mandato dal padre a Roma. Qui egli avrebbe commesso un altro omicidio, riparando nel Ponto, da cui il suo nome. È stato congetturato che responsabile della diffusione e dell'invenzione di questa leggenda fu la ventiduesima legione di stanza in Palestina all'epoca della distruzione di Gerusalemme (70  d.C.) e successivamente dislocata in Germania, a Magonza.

Lucio Elio Seiano, prefetto del Pretorio durante il principato di Tiberio. Ponzio Pilato fu certamente nominato dietro suo espresso suggerimento. A Roma, quando Tiberio si ritirò a Capri, le redini del potere passarono nelle mani di Seiano. All'inizio fedele consigliere nella gestione dell'impero e successivamente autore di una congiura contro l'imperatore, in seguito alla quale fu giustiziato dall'imperatore, Seiano pare esser stato ostile alle comunità ebraiche; spedì molti ebrei di Roma nelle miniere di Sardegna (l'odierna cittadina di Sinnai mostra un evidente richiamo al Sinai) e dei Pirenei.

Ponzio Pilato era un procurator prouincæe Iudæae. Le province minori, poco romanizzate, molto lontane e con particolari difficoltà di governo, erano governate da un prefetto o da un procuratore, cioè da un governatore di nomina imperiale proveniente dall'ordine dei cavalieri romani. La Giudea era formalmente una provincia imperiale procuratoria, o di terza classe (cfr. Strabone, Geogr.,  XVII, 3,25, XVII, 840), i cui governatori erano sottoposti al controllo del legatus pro praetore di Siria, la più importante provincia imperiale orientale. Il legato siriano, di rango consolare, aveva tre legioni a sua disposizione, alle quali, dopo il 18 d.C., fu aggiunta una quarta, (Tacito, Annali,  IV, 5).

Unica eccezione a questa regola pare essere stata Felice. I commenti di Tacito e di Svetonio sulle sue umili origini indicano che la nomina di un liberto non aveva precedenti, confermando quindi che solitamente potevano essere designate solo persone provenienti dal rango equestre.  (Tacito,  Storia V, 9; Svetonio, Claudio, 28). I cavalieri diventavano governatori (praefecti) e amministratori del fisco delle province imperiali. Potevano inoltre aspirare alla carica di "prefetto del pretorio" (capo della guardia personale del princeps) o alla prefettura in Egitto, provincia considerata dominio personale di Augusto.

Durante la temporanea assenza di Archelao, Sabino era già stato procuratore di Siria sotto Varo, ma aveva agito semplicemente per curare gli interessi di Cesare dopo la morte di Erode e quando la causa di Archealo era ancora in dubbio. Allorché l'etnarca fu mandato in esilio, venne nominato Coponio; il terzo procuratore fu M. Ambivio,  il quarto, Annio Rufo, il quinto Valerio Grato e il sesto Ponzio Pilato (Giuseppe, Ant. Giud., XVIII, 2, § 2).

Il suo titolo ufficiale non è Præses, come traduce la Vulgata nei passi in cui si parla di lui (Cfr. Felice e Festo, Atti 23:24; 26:30), ma epitropoj (greco, epitropos), Ant. Giud. XX, VI, 2; o Procuratorem, Annali, XV, 44. Cfr. Filone, Leg. ad Caium e Giuseppe, Guer. Giud., II, 9, 2.

Anticamente, il procurator era uno schiavo o un liberto che si prendeva cura (latino, procurabat) delle tenute di un padrone (cfr. Mat .20:8: Luca 8:1).

La parola viene dal latino praefectus (praeficere), cioè che sta davanti.

Quelli della prima classe erano aperti solo all'ordine senatoriale. 

Pilato nacque quindi all'incirca tra il 4 e l'1 a.C.

Quando morì Erode I, nel 4 d.C., Augusto appoggiò le sue volontà e divise il regno tra i suoi tre figli sopravvissuti. Ad Antipa toccarono la Galilea e la Perea, a Filippo fu data la Batanea, la Traconitide, l'Auranitide e alcuni territori intorno Panias (o Iturea). Entrambi ricevettero il titolo di tetrarca, letteralmente governatore della quarta parte di un regno. Il rimanente, circa la metà del regno comprese Idumea, Giudea e Samaria, andarono ad Archelao che ebbe il titolo di etnarca (Giuseppe, Guer. Giud. II, 93-100,  Ant. Giud. XVII, 317-320).

Questa  provincia comprendeva l'iniziale regno di Archelao, approssimativamente la Samaria e il territorio a sud di esso fino a  Gaza e il mar Morto.

Secondo Filone, Agrippa I scrisse una lettera all'imperatore Caligola, nella quale descrive il carattere di Pilato: "A questo riguardo si potrebbe parlare della sua corruttibilità, della sua violenza, dei suoi furti, maltrattamenti, offese, delle esecuzioni capitali da lui decise senza processo, nonché della sua ferocia incessante e insopportabile" (Filone, Leg. ad Caium XXXVIII, 302).

Città costruita da Erode il grande (Giuseppe, Guer. Giud., I, 410-414) e posta sulle rive settentrionali della Palestina, importante porto per le comunicazioni con Roma e capitale amministrativa della regione governata da Pilato.

Erode il grande aveva già osato collocare (4 d.C.) all'ingresso principale del Tempio un enorme aquila romana che gli ebrei più zelanti esortavano il popolo ad abbattere. Durante un suo spostamento a Gerico per motivi di salute, si diffuse la voce che il re Erode era morto e i giovani più arditi pensarono di metter in atto l'impresa. Un mezzogiorno, quando nel tempio c'era molta gente, con grosse corde si calarono giù dal tetto e a colpi di scure abbatterono l'aquila d'oro (Giuseppe, Guer. Giud., I, 651).

Dei precedenti governatori conosciamo poco. Sappiamo che Coponio si guadagnò la simpatia del popolo giudaico, avendo fatto riparare alcune parti del tempio danneggiate durante alcune rivolte occorse durante la prima parte del regno di Archelao.

Lo stendardo della cavalleria si chiamava vexillum (bandiera). Era un pezzo quadrato di panno attaccato all'estremità di una lancia (Adam A., Antichità romane, ovvero quadro dei costumi, usi ed istituzioni dei romani, p. 342)

La misura in cui i governatori romani rispettarono gli scrupoli giudaici a proposito delle immagini è evidenziata  anche dal fatto che sulle monete romane coniate in Giudea, che erano tutte in bronzo, non ci fu nessuna effige prima della guerra scoppiata durante il principato di Nerone (54-68 d.C.). Circolavano tuttavia anche monete d'oro e d'argento che recavano la riprovata immagine, che però erano state coniate fuori della Giudea.

Giuseppe, Guer. Giud., II, 9, 2; Ant. Giud. XVIII, 3, 1. Gli stendardi dei legionari romani, i signa (greco,  shmaiai, semaiai) riportavano quasi sempre immagini dell'imperatore. I legionari adoravano i loro signa, che costituivano i propria legionum numina (Tacito, Ann. II, 17). Inoltre, gli stendardi recavano come simbolo identificativo delle raffigurazioni animali. La legione permanentemente di stanza in Siria, alcuni distaccamenti della quale accompagnarono Pilato durante il trasferimento del praetorium (l'ufficio o residenza del governatore) da Cesarea a Gerusalemme, era la Legio X Fretensis, i cui  stendardi esibivano l'immagine di un maiale. Per i giudei, vedere delle truppe straniere occupare la città santa, contrassegnate dall'immagine di un animale impuro, non deve essere stato uno spettacolo gradito. L'altra legione siriana, alcune divisioni della quale seguirono Pilato a Gerusalemme, era la Legio III Gallica, in Giudea dal governatorato di Ponzio Pilato (26) e aggregata alla Legio X Fretensis, che aveva sulla propria insegna un toro, visto dai giudei come l'odiato segno dell'idolatria e del dominio romano.

Questi scudi avevano scopo onorifico ed erano molto comuni nell'antichità. In genere contenevano un'effigie e un'iscrizione (Plinio, Storia Natur., 35; Tacito, Ann., II, 83; Res Gestæ Divi Augusti, 34). Ma Filone ammette che quelli di Pilato non contenevano immagini per cui, almeno in questo episodio, Pilato fu attento a non provocare disordini. Inoltre, li mise all'interno del pretorio di Gerusalemme, il che suggerisce che il procuratore, pur volendo onorare il proprio imperatore, non intendeva mettersi contro i giudei. Lo sbaglio fu probabilmente nella dicitura che vi fece incidere. Nelle iscrizioni ufficiali, l'imperatore veniva menzionato come Ti. Cæsari divi Augusti f. (divi Iuli nepoti) Augusto Pontifici maximo (latino, Tiberio Cesare, Augusto Figlio del divino Augusto, nipote del divino Giulio Cesare,  Pontefice Massimo.) e il riferimento alla divinità di Augusto deve aver urtato i giudei, specie nella città santa. Tuttavia, sebbene pare non ci sia stata, da parte di Pilato, la deliberata intenzione di offendere i giudei ma solo di rendere onore all'imperatore, Tiberio ritenne di far ugualmente rimuovere gli scudi.

La strage deve aver avuto luogo in occasione di qualche festività a Gerusalemme, nel cortile esterno del Tempio. Alcuni collegano l'eccidio ai disordini seguiti all'episodio dell'acquedotto. La vicenda è abbastanza comprensibile tenendo conto del reciproco odio fanatico che serpeggiava tra i gruppi religiosi coabitanti in Palestina: si veda, ad esempio, l'atto provocatorio di alcuni samaritani che, entrati di nascosto in Gerusalemme, iniziarono a spargere ossa umane sotto i portici e dappertutto nel Tempio, allo scopo di contaminarlo (Giuseppe, Ant. Giud., XVIII, 30).

Va ricordato che il sinedrio giudaico, a quel tempo, poteva decretare la morte di qualcuno ma non effettuare materialmente la sentenza, perché i conquistatori romani avevano avocato a sé lo ius gladii (letteralmente, "il diritto di uccidere con la spada") ossia il potere di eseguire la condanna. In forza dello ius gladii, i governatori potevano giudicare anche capitalmente i residenti nelle province, senza doverli inviare a Roma davanti al tribunale imperiale, come richiedeva la provocatio (l'istituto in virtù del quale il cittadino perseguito dal magistrato esercitante l'imperium poteva sottrarsi alla morte e alla fustigazione chiedendo l'instaurazione di un processo dinanzi ai comizi).

Cfr. Tacito, Ann., I. 40, 41; III 33-59, Giuseppe,  Ant. Giud.,  XX, 10, 1.

Giuseppe, Ant. Giud., XVIII, 85-89.

Particolare che rivela l'origine orientale dello scritto: per le chiese copte, infatti, Pilato è santo e martire: la sua festa è celebrata il 25 giugno. È incluso, insieme al vangelo di Nicodemo, negli Acta Pilati, (latino, Atti di Pilato) un presunto "rapporto ufficiale" di Pilato sul processo a Gesù, circolante in molte versioni fin dal II sec. (Anaphora Pilati, Lettera di Pilato, Paradosis Pilati) che indusse alcune comunità cristiane a venerare Pilato come santo e martire, con notevoli influssi in tutto il Medioevo.

Altrettanto varie sarebbero le sue morti: scorticato, cucito - come si faceva coi parricidi - in una pelle di bue, insieme a un gallo, una vipera e una scimmia, poi lasciato morire al sole, o chiuso in una torre.

Questi racconti apocrifi sono intessuti quasi sempre sulla falsariga dei racconti canonici evangelici (cfr. in questo caso, Giovanni 12:28Luca 1:48  e  Luca 22:30).

Apol., 21

Mors Pilati qui Jhesum condemnavit, scritto spurio di epoca medievale composto in latino, pubblicato dal Tischendorf, appartenente al cosiddetto ciclo di Pilato, una serie di scritti apocrifi di varia datazione relativi a Ponzio Pilato.

Si noti l'allusione a Giona 1:10-12.

Lo scritto apocrifo si dilunga addirittura in una quanto meno bizzarra interpretazione del nome Vienne, che proverrebbe da via Gehennae, cioè via del luogo di maledizione, a causa del fatto che vi sarebbe morto Pilato. A Vienne, città della Francia sudorientale, situata sulla riva sinistra del fiume Rodano, a 25 km a sud di Lione, curiosamente verrebbe ancora mostrato il monumento funebre di Pilato, alto circa 16 mt.

Si noti la ricorrente localizzazione delle leggende nell'area svizzero-tedesca. Cfr. nota 3.

 


Testi specifici consultati

1.      A complete alphabetical arranged biblical biography, di T. G. Beharrell

2.      The Jews among the Greeks and Romans, di Max Radin

3.      Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, di Arturo Graf

4.      The apocryphal New Testament, di James Keith Elliott

5.      Vita di Gesù Cristo, di Giuseppe Ricciotti

6.      The life of Pontius Pilate, anonimo

 


Opere di carattere generale consultate:

1.      A dictionary of greek and roman antiquities, a cura di William Smith

2.      Dictionnaire de la Bible, 5 voll., a cura di F. Vigoroux

3.      Encyiclopedie theologique, tome septieme, a cura di Jacques-Paul Migne

4.      A dictionary of Christ and the Gospels, 2 voll., a cura di James Hastings

5.      Fessenden & co.'s Encyclopedia of religious knowledge, a cura di B. B. Edwards

6.      Cyclopaedia of Biblical, theological, and ecclesiastical literature, 10 voll., a cura di John M'Clintock e James Strong

7.      Catholic encyclopedia, 16 voll., AA.VV.

8.      The works of Nathaniel Lardner, 11 voll., di Andrew Kippis

     
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