Nome dell'autore: adinapoli

Gli Scritti

Era una mela?

Era una mela? E’ luogo comune spesso accettato che il frutto proibito fosse una mela, ma il testo biblico riferisce semplicemente: “Dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangerai; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai” (Genesi 2:17). La parola ebraica “tappuach” comunemente tradotta mela, ricorre spesso nella Bibbia, ma non è mai usata in relazione all’albero della conoscenza del bene e del male. Forse la convinzione che si trattasse di un melo ha origine in un gioco di parole latino: malus-malum; mela e male, infatti, sono omonimi in latino. Qualche commentatore biblico è convinto che si trattasse invece di un fico, visto che fu con foglie di fico che Adamo ed Eva si coprirono dopo il peccato (Genesi 3:7). Nelle mitologie si parla di alberi della sapienza e della scienza come alberi della vita, ma non di albero della conoscenza del bene e del male, non è in questa direzione che bisogna guardare per avere una risposta. Certamente l’influenza degli artisti medioevali e rinascimentali fu importante. Per esempio il dipinto di Pieter Paul Rubens: “Il giardino del Paradiso” (1577-1640) che si trova in un museo olandese dell’Aja, sembra indicare in una mela il frutto del peccato appeso ai rami su cui è attorcigliato il serpente. Anche il pittore tedesco Lucas Cranach il Vecchio (1472-1533) raffigurò una mela. Era comune ai pittori rinascimentali riservarsi la licenza d’immaginazione. Altri artisti anche famosi come Tiziano e Tintoretto fecero lo stesso nei loro dipinti sul medesimo tema. Il primo a mettere per iscritto questa convinzione ormai diffusa fu il poeta inglese John Milton. Nella sua opera “Il Paradiso perduto” (1667) egli parlò della tentazione di Eva descrivendo l’albero come “Tutto ingemmato di mature pòme”. Sicuramente la proibizione di mangiare del frutto “dell’albero della conoscenza del bene e del male” fu il modo divino di ricordare all’uomo la sua dipendenza dal Creatore come creatura e perciò limitata. Il verbo “conoscere” purtroppo non aiuta a capire meglio l’albero. In ebraico può significare. “determinare, discernere, sapere, scegliere, sperimentare”. I termini “bene” e “male”, poi, proprio come in italiano possono designare “felicità e infelicità”, “utile e nocivo”. Oppure indicare la “totalità” per mezzo dei contrari, degli estremi opposti: “Labano e Bethel risposero: “La cosa procede dal Signore; noi non possiamo dirti né male né bene” (Genesi 24:50). O, ancora, contenere l’idea di “separazione” fra bene e male escludendosi le due parole reciprocamente: “Vedi, io metto oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male” (Deuteronomio 30:15). Si comprende, perciò, che non è neanche dalla conoscenza della lingua originale che può venire l’aiuto della comprensione del cosa sia il frutto proibito. Bisogna così ricorrere alle varie interpretazioni bibliche. L’interpretazione sessuale Alcuni hanno fantasticato che il frutto avesse carattere afrodisiaco e che fosse stato proibito per evitare rapporti sessuali prematuri. Va detto che è vero che nella Genesi il risveglio del pudore è riferito in relazione alla sfera sessuale: “Allora si aprirono gli occhi ad entrambi e si accorsero che erano nudi; unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture” (3:7). Anche il castigo della donna è riportato nella stessa relazione: “Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza, con dolore partorirai figli, i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te” (3:22). Tuttavia il contesto non è nel racconto biblico direttamente l’albero e non c’è alcuna precisazione che incoraggi questa interpretazione contraria alla Parola di Dio. La conoscenza del bene e del male è privilegio del Signore: “Ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male”…”Poi Dio il Signore disse. “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre” (Genesi 3:5,22). E’ interpretazione contraria alla realtà. La Genesi non indica la primitiva coppia come due cui è vietata l’unione coniugale, anzi questa è esaltata come piano divino: “Io gli farò un aiuto che sia adatto a lui” (2:18). Va precisato che conoscere è nella Bibbia un eufemismo per indicare le relazioni sessuali: “Adamo conobbe Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino…” (Gen. 4:1), ma va specificato che quando ha bene e male come oggetto non assume mai significato sessuale. L’interpretazione della cultura ebraica Conoscere è in relazione all’esperienza. Il Signore, quindi, chiedeva alla propria creatura di limitarsi a esperimentare il bene astenendosi dal partecipare al male. Si voleva cioè preservare l’essere umano dal conoscere il male oltre che il bene. La Parola di Dio riferisce che il Signore questa conoscenza la possiede. Lo scrittore biblico Giacomo invitò: “Nessuno quand’è tentato dica: “Sono tentato da Dio”; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno” (1:13). L’interpretazione del discernimento morale L’essere umano, guardandosi dal mangiare il frutto proibito si educava a questa disciplina e si assicurava questa facoltà morale di distinguere bene e male conoscendoli. Il testo biblico però recita: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre” (Genesi 3:22). La conoscenza, quindi, si acquisiva proprio mangiando il frutto! Non sembra neanche certa l’interpretazione che la proibizione sarebbe stata solo “temporanea”. I fautori credono che in seguito Dio l’avrebbe abolita per permettere che anche questo frutto potesse essere consumato come gli altri. In realtà resta difficile da accettare che il Signore non abbia assicurato all’uomo il discernimento morale. Comunque il fatto che la coppia primitiva poteva scegliere o no di fare la volontà di Dio astenendosi dal frutto proibito, dimostra che aveva questa capacità. L’interpretazione linguistica Il frutto dell’albero negato all’uomo consisterebbe “nell’onniscienza” divina, nel Suo sapere supremo perché si attribuirebbe a bene e male significato congiuntivo nella lingua originale. Il testo biblico però dice: “L’uomo è diventato COME uno di noi” e non “come noi” (Gen. 3:22). C’è chi ha visto nel frutto “l’autonomia” soprattutto

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Colpa dei sensi o sensi di colpa?

Colpa dei sensi o sensi di colpa? Nonostante ci si limiti a citare solo i primi cinque sensi umani quali vista, udito. olfatto, gusto e  tatto; quelli detti canonici sono almeno nove e quindi occorre aggiungere quelli di termo percezione, dolore, propriocezione e equilibrio. Anche altri organi di senso sono vivi nel corpo umano, però sono valutati meno importanti rispetto a quelli riportati. Spesso religioni che si qualificano cristiane hanno definito trasgressione qualcosa per colpa dei sensi, alterazioni che il peccato ha prodotto. Colpa dei sensi o sensi di colpa introduce il tema della genesi del peccato. Tutto iniziò con Adamo ed Eva: “La donna osservò che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito”. Dopo sbagliato, la colpa dei sensi fu evidente nella reazione: “… Dio disse: «Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai forse mangiato del frutto dell’albero, che ti avevo comandato di non mangiare?”. Anche Acan, trasgredendo l’interdetto stabilito da Giosuè nella conquista di Gerico, trasgredì per colpa dei sensi: “… ho peccato contro il SIGNORE… Ho visto fra le spoglie un bel mantello…, duecento sicli d’argento e una sbarra d’oro del peso di cinquanta sicli; ho desiderato quelle cose e le ho prese; ecco, sono nascoste in terra in mezzo alla mia tenda; e ‘argento è sotto”. L’apostolo insegnò: ” Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo” (1 Giovanni 2:16).  I sensi di colpa per Friedrich Nietzsche sarebbero da evitare; il filosofo tedesco definì la colpa: “La più tremenda malattia che sia infuriata sino a oggi nell’uomo”. Farlo ha giustificato convinzioni razziste e violente e prodotto sanguinose guerre, anche mondiali. Altri ricercatori concludono diversamente che i sensi di colpa non sono tutti sbagliati e in alcune circostanze possono essere utili: “È uno degli strumenti della coscienza”, “è parte essenziale di ogni persona sensibile e responsabile”, affermano. Colpa dei sensi o sensi di colpa è soggetto che introduce l’insegnamento che i secondi possono essere utili, vantaggiosi per evitare azioni sgradevoli. Il dolore emotivo avverte di un problema spirituale o morale, proprio come quello fisico segnala un possibile problema di salute. Una volta consapevoli della debolezza si sta più attenti. Gesù spiegò: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti… “. I sensi di colpa possono spingere alla confessione dell’errore che può essere utile a colpevole e vittima. La colpa del re Davide fu accompagnata da un anno di intensa agonia a livello emotivo: “Finché ho taciuto, le mie ossa si consumavano tra i lamenti che facevano tutto il giorno…”(Salmo 32:3). Quando il profeta Natan lo aiutò a confessare, Davide fu lieto di cantare: “… tu mi circonderai di canti di liberazione” (verso 7). Confessare può far stare meglio anche la vittima come con Bat-Seba che “Poi Davide consolò”.  I sensi di colpa hanno la capacità indicare che si è consapevoli dell’esistenza di norme accettabili e che la coscienza è attiva:”essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda “ (Romani 2:15). Per certa psichiatria l’assenza di sensi di colpa può portare a comportamenti nocivi socialmente. Secondo la Bibbia si farà fatica a distinguere bene e male: ” Tutto è puro per quelli che sono puri; ma per i contaminati e gli increduli niente è puro; anzi, sia la loro mente sia la loro coscienza sono impure”. Colpa dei sensi o sensi di colpa è tema che lascia intravedere la possibilità di sentirsi colpevoli senza esserlo veramente. Se si è perfezionisti si ha la tendenza a imporsi precetti e norme irrazionali e ogni insuccesso può poi determinare uno sbagliato senso di colpa:”Non essere troppo giusto, e non farti troppo saggio: perché vorresti rovinarti?”, scrisse Salomone (Ecclesiaste 7:16). Si potrebbe lasciare che il giusto rimorso degeneri in vergogna che porti a infliggersi inutili punizioni. Il pericolo del “legalismo religioso” è sempre attuale, come accaduto ai Farisei del tempo di Gesù. Desiderosi di elaborare un quadro preciso che permettesse l’esatta osservanza della Torà (Legge); nel 1° secolo risulta che avevano moltiplicato i precetti in due gruppi: quelli negativi con 248 regole e quelli positivi con 365 proibizioni. Uno ogni giorno; impossibile da sopportare e contrario al dono della libertà cristiana. Colpa dei sensi o sensi di colpa è quesito che deve far avere un punto di vista equilibrato della colpa. Si noti il forte contrasto fra il modo di considerare peccatori e peccato da parte di Gesù e dei farisei del tempo. La donna peccatrice che entrò in casa di un fariseo dove Gesù mangiava, lavò i piedi con le lacrime e glieli profumò con olio costoso suscitando dubbi su Gesù – Profeta: “…Costui, se fosse profeta, saprebbe che donna è questa che lo tocca; perché è una peccatrice” (Luca 7:39).  Il Maestro corresse subito: “Tu non mi hai versato l’olio sul capo; ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi”.Perciò, io ti dico: i suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato; ma colui a cui poco è perdonato, poco ama”. Il Signore non stava abbuonando l’immoralità, solo insegnando che il motivo più importante per servire Dio è l’amore; come disse in diversa occasione: “Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento? Gesù gli disse: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti”. Era giusto che la peccatrice si sentisse in colpa per il passato amorale e il pentimento manifestato dal pianto dimostra che non cercò giustificazioni. Gesù le disse: “La tua fede ti

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Restare soli connessi col mondo

Restare soli connessi col mondo L’uso dei social network, sms, telefonini, e-mail, indica il gran numero di mezzi per comunicare oggi. Eppure sono in tanti a sentirsi soli, sia anziani sia giovani.   Perché la solitudine. “Guai a chi è solo”, scrisse l’Ecclesiaste (4:10). Il rimedio attuale della tecnologia per avere socialità non può sostituire il calore di un sorriso o di uno sguardo sereno di qualcuno. Purtroppo il trend della vita sociale è contrassegnato da ritmi frenetici, e questo non aiuta i rapporti con gli altri. Gli esperti affermano che un uso esagerato d’internet può aumentare il distacco e la depressione, se surroga forme più concrete di vicinanza umana come famiglia, scuola. Il servizio cristiano a pro della Comunità che si frequenta è gradito a Dio, ma è pure comunione fraterna, socialità cristiana. Molti sono i nuclei familiari usati dai componenti, come un albergo dove si dorme senza colloquiare e senza consumare quasi mai i pasti insieme. Realmente la solitudine è la condizione, lo stato, di chi è solo come situazione passeggera o duratura. E’ condizione di diversi. Il senso di vuoto che può provare chi è sposato è una delle forme di solitudine più forte. L’assenza di dialogo tra coniugi può determinare la conduzione di vite parallele, muovendosi su binari che difficilmente s’incontrano. Molti si rifugiano in chat con estranei e dialogano diversamente, spesso con esiti di rotture del proprio matrimonio. Spesso nelle famiglie gli adolescenti hanno il proprio computer e vivono isolati dagli altri immersi in chat, giochi elettronici e altro. A dover lottare con la solitudine sono in particolare i genitori single. Questo mondo tanto connesso, insieme a diversi fattori, può rendere difficile il rapporto con i figli, accrescendo il senso d’isolamento. Molti soli vorrebbero avere qualcuno accanto e non possono appagare le proprie necessità emotive. Di conseguenza, è essenziale individuare le cause della solitudine. Si tratta del primo passo per affrontare il problema. Stare soli o sentirsi soli? Occorre capire se si appartiene a chi tende a mantenere le distanze dagli altri e riflettere che forse gli altri sarebbero più amichevoli, se si fosse più disponibili al dialogo facendo il primo passo. Se questo è il problema, è necessario essere più socievoli, fraterni, uniti in Cristo. Perché l’amicizia diventi profonda, occorrono impegno e tempo. Un modo per iniziare è essere buoni ascoltatori, prestando attenzione e trovando argomenti interessanti per gli altri. Base dell’amicizia è la condivisione dei sentimenti. In ogni caso, stare da soli in alcune circostanze si può ricercare. Per esempio per pregare o meditare come faceva il Signor Gesù che “…si ritirava nei luoghi deserti e pregava” (Luca 5:16). Spesso sentiva questo bisogno di stare solo col Padre: “In quei giorni egli andò sul monte a pregare, e passò la notte pregando Dio” (Luca 6:12). “Sentirsi” soli è invece un’esperienza molto dolorosa. La solitudine è diventata un male sociale che può portare ad abuso di droga, alcol, eccessi nel consumare cibo, promiscuità  sessuale e anche suicidio. I motivi per cui si soffre di solitudine   Senso d’isolamento e abbandono nel trambusto delle metropoli e citta. Spesso con migliaia o milioni di persone si vive a stretto contatto eppure, paradossalmente, quest’affollamento di abitanti contribuisce a far aumentare la sensazione di solitudine. A causa del trambusto della vita metropolitana molti non conoscono veramente i loro vicini. Così si ritrovano a vivere in mezzo a degli estranei. Nelle grandi città il desiderio di tutelare la privacy e la circospezione nei confronti degli sconosciuti può contribuire in misura notevole al senso di solitudine. Non basta vivere tra oltre otto milioni di abitanti come a New York o intorno ai venti come a Pechino oppure gli oltre quindici come a Tokio. Il profeta Isaia già ne aveva accennato: “Infatti la città fortificata è una solitudine” (27.10). Ambiente di lavoro non umano. Nelle grandi aziende, la continua riorganizzazione della forza lavoro determina un senso d’insicurezza, solitudine, isolamento. A volte suicidi tra i dipendenti che si sentono spinti a superare i loro limiti a causa dei ritmi imposti dai cambiamenti economici. Il modo in cui sono amministrate diverse grandi imprese spinge molti dipendenti a sentirsi inadeguati e soli per le tensioni e pressioni continue. Morte di una persona cara. La morte del coniuge lascia sempre un grande vuoto. Questo `e vero in particolare quando si `e vissuto molto insieme o quando ci si è preso cura del proprio caro per molto tempo. Spesso si prova smarrimento. Lo stesso succede per i figli con la morte dei genitori. Può accadere anche per la morte dei nonni che hanno cresciuto i nipoti. Allontanamento dal proprio ambiente. Mancanza di lavoro e crisi economica obbligano molti a trasferirsi per trovare o mantenere il lavoro. Tali cambiamenti allontanano dalla famiglia, chiesa, amicizie, scuola. Strappati dall’ambiente, queste persone si lasciano le radici alle spalle e restano sole senza riuscire a inserirsi. Spesso la soluzione è la gentilezza, il fare del bene, servire nella comunità cristiana in cui ci si ritrova. Gesù disse: “Date, e vi sarà dato”.  Mancanza di coniuge, divorzio, separazione. Chi non è sposato perché non ha trovato un coniuge adatto, di solito attraversa periodi di solitudine. Questa sensazione può aggravarsi quando altri fanno osservazioni irriflessive come: “Ma quando ti sposi? Anche i genitori single si sentono soli. I figli danno gioie, ma anche problemi e chi è solo deve risolverli senza l’appoggio di un coniuge. La Bibbia dice: “Due valgono più di uno solo, perché sono ben ricompensati della loro fatica”. Infatti, se l’uno cade, l’altro rialza il suo compagno; ma guai a chi è solo e cade senz’avere un altro che lo rialzi! Così pure, se due dormono assieme, si riscaldano; ma chi è solo, come farà a riscaldarsi? Se uno tenta di sopraffare chi è solo, due gli terranno testa; una corda a tre capi non si rompe così presto”. Il divorzio o la separazione lascia spesso dietro di se un senso di fallimento e solitudine. Normalmente a risentirne maggiormente sono i figli, che soffrono molto più di quanto si pensi. Per alcuni esperti, i

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Il ritorno alla magia

Il ritorno alla magia Evento culturale? Sedimento al fondo della storia del quotidiano? Il confronto scienza-antiscienza, antiscienza-Bibbia. Magia, astrologia, fatture, incantesimi, filtri e porzioni nel passato non furono espressione di arcaiche superstizioni appartenenti a un certo mondo contadino. Neanche risposta irrazionale al mistero della natura e della vita da parte delle classi meno colte. Piuttosto appannaggio di elite di potere politico e intellettuale. E’ risaputo che Napoleone Bonaparte convocò la maga Nurgia per conoscere il suo futuro; la sconfitta di Waterloo gli fu predetta. Luigi XVI, il re francese poi ghigliottinato, nominò conte e magonegromante ufficiale di corte Cagliostro, in piena “età dei Lumi”. In realtà gli uomini di ogni tempo si sono interessati di magia. Lo scrittore Van Baalem nel suo libro: “Il Caos dei Culti” afferma: “Troviamo tracce di spiritismo fra gli antichi Cinesi, gli Indù, i Babilonesi e gli Egiziani; e possiamo rintracciarlo nell’Impero Romano e nell’Europa del Medio Evo. Di tutti i movimenti religiosi illusori di oggi è dunque l’unico che già esistesse, e le Scritture ne parlano”. Come fenomeno d’interesse generale solo l’Ottocento con le sue ideologie positivistiche liquidò il magico. Il neopositivismo riuscì ad allontanare dalla gente l’ideologia dell’incantesimo; il progresso, si disse, l’avrebbe cancellato. Eppure la magia oggi sta vivendo il suo “revival”. I settimanali ne discutono, convegni organizzati da università chiamano a raccolta studiosi di psicologia, letteratura, antropologia, etnologia, storici, per scandagliare la magia nei suoi vari aspetti. Persino nelle aule dei tribunali emergono dati sconcertanti: per conoscere dove si trovasse la “prigione del popolo” di un leader politico sequestrato dai terroristi, alcuni si rivolsero agli spiriti. Sembra proprio che siano finiti i tempi in cui anche solo mostrare un interessamento “culturale” alla magia era ritenuto colpa meritevole di pena capitale. Almeno nelle civiltà occidentali. OGGI SI TORNA ALLA MAGIA E I PERCHE’ SONO DIVERSI. Un periodo di neospiritualismo sono i nostri anni e quelli immediatamente precedenti; possono essere certamente definiti come La delusione seguita agli ideali del benessere, delle riforme sociali, del Welfar-State, insieme alla caduta delle speranze, sono state certamente il terreno adatto per vedere rispuntare, più malefica che mai, la pianta spesso strappata ma mai estirpata della magia. ll confronto scienza e magia può senz’altro far parlare di scienza e antiscienza. Ambedue, infatti, hanno posseduto intenti comuni: ordinare l’universo con leggi e riti. Le risposte sono quelle che divergono. E’ stato detto che “la magia è la scienza prima della scienza, la forma originale del pensiero umano che cerca di fornire spiegazioni ai fenomeni della natura e alle angosce dell’uomo”. Contro la pretesa della scienza di poter controllare ogni cosa, la magia si pone dinanzi ai limiti scientifici come un asilo nei confronti di questa che sembra ormai sapere soltanto dare alla luce cose orrende. La mancanza di fiducia nella scienza porta dunque all’antiscienza, alla magia. L’uomo di oggi, rifiutando la razionalità, cerca aiuto nel magico e nel fantastico; quella voce mai sopita nell’uomo che lo porta alla ricerca del “superiore”, porta, così, direttamente verso il soprannaturale, anzi al paranormale. Antropologicamente, considerando l’uomo nella sua dimensione animale, chi si rivolge alla magia prova un beneficio soprattutto comunitario. Invece di prendersi la vendetta contro la persona odiata o temuta, infilza un pupazzo e il bene della comunità è preservato senza neanche essere turbato. C’è una tendenza a recuperare il possibile dal magico. Infine, c’è un ritorno alla magia anche perché le forme religiose come si sono affermate in Occidente non soddisfano più l’uomo di oggi, non placano i suoi timori, non esautorano i dubbi che si armano a terribili nemici. LA PAROLA DI DIO HA SEMPRE CONDANNATO LE ARTI MAGICHE,                      Quelli che le esercitano e quelli che vi ricorrono sono indicati come colpevoli:”Non lascerai vivere la strega” (Esodo 22:18). Nella legge di Mosè si prescriveva: “Se qualche persona si volge agli spiriti e agli indovini per prostituirsi (andare) dietro a loro, io volgerò la mia faccia contro quella persona e la sterminerò di tra il suo popolo” (Levitico 20:6). “Se un uomo o una donna hanno uno spirito o indovina, dovranno essere messi a morte; saranno lapidati, il loro sangue ricadrà su loro” (Levitico 20:27). “Così morì Saul, a motivo dell’infedeltà che aveva commesso contro l’Eterno, ed anche perché aveva interrogato e consultato quelli che evocano spiriti, mentre non aveva consultato l’Eterno” (1 Cronache 10:13,14). Il Nuovo Testamento stigmatizza ogni magia: “Le opere della carne sono: … stregoneria …” (Galati 5:20). “Quanto agli … stregoni … la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda” (Apocalisse 21:8). Spesso quelli che ricorrono alla magia cominciano per “gioco”. I motivi sono diversi: evadere, sfuggire alla routine della vita moderna, non accettare una visione del mondo razionalista, cercare conforto per un dolore, una prematura scomparsa di un familiare o anche conoscere il domani per calmare l’ansia del dopo. A tutti la Bibbia dice: “Le cose occulte appartengono all’Eterno, al nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figliuoli, in perpetuo, perché mettiamo in pratica tutte le parole di questa legge” (Deuteronomio 29:29).

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Risentimento

Risentimento Il risentimento è un sentimento protratto nel tempo dato da un misto di rabbia e desiderio di rivalsa. Si prova come conseguenza di un torto o frustrazione subita, sia reale o immaginaria. Spesso il credente carnale e non spirituale, il fobico o il depresso, vede l’esercizio del ruolo altrui come abuso di potere, accanimento, incomprensione delle debolezze e li fa diventare risentiti. Quando non è da patologia, si è agitati dal rancore cedendo a Satana, padre di questo sentimento negativo. La Bibbia descrive il risentimento chiaramente e mette in guardia dall’ospitarlo. Il risentimento è descritto come rancore. La legge di Mosè esortava: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il SIGNORE”.  (Levitico 19:18).  Il re Davide di ritorno dal breve esilio a causa della presa del potere del figlio Absalom, s’incontrò con Simei il Beniaminita che si affrettò a chiedergli: “Non tenga conto, il mio signore, della mia iniquità e dimentichi la perversa condotta tenuta dal suo servo il giorno in cui il re mio signore usciva da Gerusalemme; non me ne serbi rancore il re!“ (2 Samuele 19:19). Il sovrano perdonò. Il profeta biblico dell’Antico Testamento Naum, scrisse nel suo libro: “Il SIGNORE è un Dio geloso e vendicatore; il SIGNORE è vendicatore e pieno di furore; il SIGNORE si vendica dei suoi avversari e serba rancore verso i suoi nemici”. (1:2). Si rileva così che nella “dispensazione della Legge”, Dio difendeva il suo popolo fino a vendicarlo. Il risentimento è descritto anche come un misto di rabbia e desiderio di rivalsa. La rabbia consiste nell’essere presi dall’ira. Produce l’incollerirsi, adirarsi, andare in bestia o su tutte le furie. Denunziando l’empietà e la decadenza spirituale d’Israele, il profeta biblico Osea scrisse: “Essi tornano, ma non a chi è in alto; sono diventati come un arco fallace; i loro capi cadranno per la spada, a motivo della rabbia della loro lingua; nel paese d’Egitto si faranno beffe di loro” (7:16). La rabbia fa inalberare ed esacerbare. I membri del Sinedrio, l’organo giudiziario e amministrativo degli ebrei del tempo di Gesù, furono descritti dall’evangelista Luca come in preda all’ira: “Essi, udendo queste cose, fremevano di rabbia in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui” (Atti 7:54).  La rabbia fa andare in escandescenze; inviperire, uscire fuori dai gangheri, infuriare, imbestialire, Come il Nemico del Credente: chi gli cede si stizza, innervosisce, irrita, inquieta, sdegna, altera com e lui: “Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi! Guai a voi, o terra, o mare! Perché il diavolo è sceso verso di voi con gran furore, sapendo di aver poco tempo” (Apocalisse 12:12).  Il risentimento è descritto pure come desiderio di ritorsione. L’apostolo Paolo raccomandava i credenti di Roma: “Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all’ira di Dio; poiché sta scritto: « A me la vendetta; io darò la retribuzione », dice il Signore>” (12:19). Non spettano al credente dell’Era della Grazia la vendetta, la rivincita. Vista la sua dura realtà e presenza, come si può vincere il risentimento? Intanto, Dio vede! Il “profeta del pianto” si consolava nel suo dolore ricordandolo: “Tu vedi tutto il loro rancore, tutte le loro macchinazioni contro di me” (Lamentazione 3:60). Nello stesso tempo, bisogna attendere i momenti di Dio: “Noi conosciamo, infatti, colui che ha detto: « A me appartiene la vendetta! Io darò la retribuzione!» E ancora: « Il Signore giudicherà il suo popolo» (Ebrei 10:30).  Al momento il credente dispone del nome del Signore: “Noi canteremo di gioia per la tua vittoria, alzeremo le nostre bandiere nel nome del nostro Dio. Il SIGNORE esaudisca tutte le tue richieste” (Salmo 20:5). Sicuramente occorre deporre i sentimenti negativi. Bisogna porre giù, togliersi di dosso il carico, il peso: “ Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, malignità, calunnia; e non vi escano di bocca parole oscene” (Colossesi 3:8). Sempre, il sentimento del risentimento è vinto per fede: “Poiché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” (1 Giovanni 5:4).

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Il velo

Il velo “SI NOTA SEMPRE PIU’ LA TENDENZA DELLE DONNE CRISTIANE A PARTECIPARE AI CULTI A CAPO SCOPERTO. QUAL’ E’ LA POSIZIONE BIBLICA AL RIGUARDO?” (A domanda risponde vol. II  di Francesco Toppi) All’insegna della libertà, dell’emancipazione e dei tempi moderni oggi, alcune donne cristiane, seguono l’esempio negativo di quelle di ieri a Corinto. Non era una questione locale e di costume, I’antico richiamo rivolto all’apostolo Paolo è una sana esortazione della Parola di Dio valida anche ai giorni nostri affinché i sani principi divini vengano attuati in un mondo dove il significato di libertà subisce sempre continue alterazioni. Gesù Cristo, il Grande Emancipatore, ha garantito vera libertà per tutti i credenti. L’Evangelo, con la sua potenza, ha abbattuto per sempre barriere sociali, di razza e di sesso. Dovunque, il popolo di Dio, redento dal sacrificio di Cristo, ha goduto e gode di questa emancipazione. Non c’è “né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è maschio né femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3:28). Questo verso è stato considerato la “magna charta” della libertà in Cristo. Se consideriamo, però, la storia del cristianesimo dalle origini fino ad oggi, non possiamo fare a meno di notare che molto spesso si è abusato della libertà cristiana e i suoi privilegi sono stati utilizzati con tal eccesso da divenire “licenza”. Era questo il caso delle donne cristiane di Corinto, le quali usavano la libertà ricevuta da Cristo per “rivendicare” la loro uguaglianza con gli uomini, manifestando così scarsa riverenza nel culto al Signore, creando un’atmosfera irriguardosa, quando era necessario invece mantenere una profonda attitudine di umiltà. Qualcuno obietterà che si trattava di una questione di costume limitata alla comunità locale, ma se consideriamo il richiamo dell’apostolo Paolo che, guidato dallo Spirito Santo, esamina l’argomento in modo tanto ampio, dobbiamo obiettivamente ammettere che il problema non è soltanto locale e di costume. Nella prima lettera ai Corinzi al cap. 11, i primi 16 versi trattano questo soggetto da diversi punti di vista.Lasciamo l’aspetto spirituale e quindi più importante alla fine, e notiamo prima di tutto che il capitolo contiene: UN APPELLO AL DECORO “Giudicatene voi stessi: E’ egli conveniente…” (I Corinzi 11:13). E’ un principio quanto mai importante. Se i credenti si ponessero sempre questa domanda, prima di compiere determinate scelte, la dignità cristiana sarebbe sempre salvaguardata.Quando le scelte che compiamo ci creano qualche perplessità, lasciamo al Signore il beneficio del dubbio piuttosto che svilire l’onore della testimonianza cristiana per reclamare i nostri diritti, più o meno legittimi, acquisiti in base alla libertà individuale. UN APPELLO ALLA NATURA Dopo la domanda: “E decoroso?”, viene l’altro interrogativo: “E’ naturale?”. “La natura stessa non v’insegna ella che se l’uomo porta la chioma, ciò è per lui un disonore? Mentre se una dona porta la chioma, ciò è per lei un onore; perché la chioma le è data a guisa di velo” (I Corinzi 11:14, 15). Nell’ordine divino non v’è nulla che sia contro natura. Lo spirituale e il naturale si armonizzano in modo perfetto, secondo il piano di Dio. Perciò, questa domanda ha la sua importanza.Quante volte noi tutti, uomini e donne, saremmo salvaguardati dalle esagerazioni delle nostre scelte se fossimo pronti a lasciarci istruire dal meraviglioso esempio di equilibrio che ci fornisce la natura. Se in natura stessa la donna è dotata di una chioma più lunga, quasi come un velo che abbellisce e impreziosisce la figura femminile, perché allora le credenti stesse vogliono apparire dinanzi a Dio con proprietà, decoro e delicata bellezza? Qualcuno, pur di sostenere la propria intransigente posizione contro l’uso del velo da parte delle donne cristiane, afferma “la chioma le è data a guisa di velo” non occorre altro, perché il capo è coperto. Questo è il classico caso del “testo tolto dal contesto che diventa pretesto”. Infatti, nello stesso capitolo è “…ogni donna che prega o profetizza senz’avere il capo coperto da un velo, fa disonore al suo capo, perché è lo stesso che fosse rasa. Perché se la donna non si mette il velo, si faccia anche tagliare i capelli!” (I Corinzi 11:5, 6).Il testo che fa appello alla natura, contiene anche un richiamo anche gli uomini “capelloni”, considerandoli degli “effeminati e dei damerini”.Un notissimo commentatore biblico afferma a proposito di questo testo: “Il fanatismo sfida la natura, il cristianesimo (vero) la rispetta, la perfeziona, la santifica… lo Spirito di Cristo sviluppa ciascun individuo secondo la propria natura, non secondo quella degli altri. Rende l’uomo più veramente uomo e la donna più veramente donna”. UN APPELLO ALLA CONSUETUDINE Esistevano in Corinto, e purtroppo ve ne sono ancora, dei contestatori che non pensavano nemmeno lontanamente di condividere le ragioni esposte e per partito preso avrebbero cercato cavilli per rifiutare il consiglio della Parola di Dio.Per questo Paolo si richiama alle regole attuate dagli apostoli e dalle chiese o “assemblee” di Dio, dichiarando perentoriamente che tale “usanza” non era comunemente accettata. Bisogna notare quanto sia importante quest’appello agli usi, degni di rispetto, perché applicati dagli apostoli e dalle chiese dell’era apostolica, e se la Chiesa cristiana fedele a tutto l’Evangelo desidera richiamarsi alla semplicità e alla potenza della Chiesa cristiana dei primi secoli è doveroso accettare e attuare quest’uso che, per decoro e dignità, onora ogni comunità cristiana. Inoltre, autorevolmente, l’apostolo non consente alcuna replica sull’argomento, ricordando che né gli apostoli né le chiese hanno l’abitudine di perdersi in ragionamenti cavillosi proposti dai contestatori.E’ evidente che si deve tener conto dell’uso e della cultura del paese in cui si vive, perché i cristiani non appaiano stravaganti nell’ambiente in cui vivono, ricordando tuttavia che la moda e gli usi vanno ripudiati quando contrastano con la natura stessa o la distorcono e quando, ancora di più, infrangono le regole morali stabilite dalla Parola di Dio, riguardanti la modestia, la sobrietà e il decoro. UN APPELLO AI PRINCIPI SCRITTURALI Abbiamo lasciato quasi in fondo, ma questo non ne diminuisce certamente l’importanza.Stabilito il principio che “Dio è ordine”, di conseguenza tutto deve rimanere nel ruolo proprio assegnato dalla legge divina. Se era vero che il velo rappresentava un segno di sottomissione, l’apostolo ispirato dallo Spirito Santo ricorda che, nei rapporti con Dio, la donna e l’uomo sono uguali, ma nella sfera sociale riconoscono ruoli differenti. Differente non vuol dire inferiore o superiore, ma ognuno, nella sfera di

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Tatuaggi e piercing

Tatuaggi e piercing Tatuaggi (“tattoos”) e piercing Oggi è tanto di moda tra gli adolescenti e i giovani i tatuaggi (“tattoos”) e i “piercing”. Nella Bibbia è detto qualcosa sull’argomento? Già nell’Antico Testamento, agli israeliti usciti d’Egitto, Dio aveva proibito di praticare incisioni sul corpo e tatuaggi (Levitico 19:28 NR). Ai sacerdoti ebrei era vietato farsi “incisioni nella carne” (Levitico 21:5) e a tutti gli Ebrei era altresì ricordato (Deuteronomio 14:1). Incisioni e tatuaggi nell’antichità Gli israeliti venivano dall’Egitto, dove “la pratica di farsi tagli sul volto, sulle braccia e sulle gambe nel periodo del lutto era comune tra i pagani ed era considerato un segno di rispetto per il morto, ma anche una specie di offerta propiziatoria verso le deità che governavano la morte e la tomba”. Incidersi il corpo era soprattutto una manifestazione violenta del dolore per la perdita dei propri cari, mentre i tatuaggi avevano una funzione di carattere superstizioso e religioso, come dimostrazione di dedizione alla deità. Altra pratica diffusa nel paese che li aveva resi schiavi, era quella dei tatuaggi rappresentati con figure, fiori, foglie, stelle o altri disegni su varie parti del corpo. “Erano realizzati con dei ferri infuocati, talvolta con inchiostro o pittura … È probabilmente associato, secondo Levitico 19:28 NR, al costume di adottare tali segni in onore di qualche idolo, così si spiega chiaramente la proibizione. Perciò, venivano saggiamente vietati perché erano segni di apostasia e inoltre erano indelebili”. Il termine tatuaggio deriva dal taitiano “tatu”, che significa “segnare qualcosa”. I tatuaggi sono stati praticati, nelle diverse civiltà, per scopi differenti: in alcuni casi, soprattutto in estremo oriente, erano legati a riti religiosi o all’appartenenza a un determinato clan per indicare maturità e coraggio; i greci usavano i tatuaggi per comunicare nel mondo dello spionaggio; i romani li usavano per segnare criminali e schiavi. Nella Scrittura i due divieti citati, relativi alla proibizione di deturpare il corpo, erano giustificati perché ritenuti come un’offesa verso il Signore, il Creatore, ed erano considerati come atti di violenza a danno del corpo umano creato da Dio. Incidersi il corpo era soprattutto una manifestazione violenta del dolore per la perdita dei propri cari, mentre i tatuaggi avevano una funzione di carattere superstizioso e religioso, come dimostrazione di dedizione alla deità. Servivano come segno di riconoscimento di persone devote a un determinato idolo. Per questa ragione la legge del Signore vietava incisioni e tatuaggi. Incisioni e tatuaggi nel mondo moderno Fino ad alcuni anni or sono, le incisioni, ma soprattutto i tatuaggi, non erano assolutamente d’uso comune. Non esistevano, come succede invece oggi, specialisti di tatuaggi e “piercing” (uno spillo penetrante sul corpo), che propagandano la propria attività con studi aperti al pubblico. I tatuaggi erano usati unicamente da determinati individui, come per esempio i marinai provenienti da lontani porti dell’Asia o dell’Africa, che avevano accettato questa “moda” per ostentare la propria forza bruta e l’assoluto disprezzo di ogni regola sociale. Un altro gruppo era costituito da personaggi che avevano avuto a che fare col mondo della malavita e spesso il tatuaggio era stato loro praticato in carcere mentre scontavano qualche pena. Era un segno distintivo di appartenenza a una determinata cerchia sociale, connessa con la criminalità. A questo proposito, persone di una certa età ricordano bene che si evitavano gli individui con tatuaggi in bella mostra, perché considerati pericolosi. Chi non ricorda i corsari dei libri di avventura o del cinema che mostravano tatuaggi e segni deturpanti, magari con ferite sul volto, a testimonianza del coraggio e della forza manifestata nel corso di combattimenti ingaggiati da filibustieri e pirati. Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, in un mondo ormai post-cristiano come l’attuale, i costumi pagani dell’Africa e dell’Asia sono diventati popolari. “Cantanti e complessi musicali come i ‘Hells Angels’ (Angeli dell’inferno) usano i tatuaggi come simbolo del gruppo. La TV e il cinema usano l’idea del tatuaggio come indicazione di una società particolare. Si fa credere che chi ha tatuata un’immagine, ad esempio, di una tigre si apre allo spirito della ferocia” e questo costume ha avuto indubbiamente grande successo. Immediatamente, i giovani, per una sorta di esterofilia sempre molto diffusa, hanno attuato sui loro corpi tatuaggi e “piercing”, imitando quelli visti su cantanti e gruppi musicali stranieri. Questa moda si è diffusa a macchia d’olio; basti pensare che su internet esistono tantissimi siti che trattano di tatuaggi e “piercing”. Passata la moda, si vorrebbero cancellare con la dermo-abrasione i segni indelebili del tatuaggio, ma rimane lo sfregio e la cicatrice. È di questi giorni la notizia riportata da giornali che decine di migliaia di persone si sono rivolte a chirurghi estetico sperando di cancellare i tatuaggi, in quanto è stato sperimentato un metodo indolore, che non lascia cicatrici di sorta. La posizione cristiana Per le implicazioni connesse con i tatuaggi e i “piercing”, crediamo che i credenti fedeli all’Evangelo debbano attuare l’insegnamento della Parola di Dio riguardo a queste manifestazioni (1 Corinzi 6:19). Certamente il Signore non apprezza che il Suo tempio sia segnato e sfregiato in questo modo. Dimostrazioni di questo genere, che rivelano credenze pagane in contrasto con la Sacra Scrittura, debbono essere evitate perché lo scopo dei veri seguaci di Cristo è quello di glorificare Dio anche con il proprio corpo, come ulteriore segno di una vita cristiana equilibrata. Lo scopo dei veri seguaci di Cristo è quello di glorificare Dio anche con il proprio corpo, come ulteriore segno di una vita cristiana equilibrata. Francesco Toppi

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Adornarsi di gioielli

Adornarsi di gioielli È VERAMENTE IMPORTANTE NON ADORNARSI DI GIOIELLI D’ORO AGLI OCCHI DI DIO? L’argomento è attuale ed interessante, in quanto, ormai, si sta instaurando anche tra i cristiani evangelici un principio molto comune nella nostra società, secondo il quale ciascuno deve agire seguendo la propria coscienza. Prima di trattare l’argomento specifico sarà utile parlare in senso generale di un principio che riveste un valore fondamentale. PRINCIPII BIBLICI Quanti sono oggi coloro che, reclamando la libertà di compiere le proprie scelte secondo coscienza, dimenticano che quest’ultima possiede un certo grado di elasticità, cioè è mutevole e deve essere guidata da principii sicuri, deve essere ben educata! Per i cristiani fondati su “Tutto l’Evangelo”, l’istruzione e la guida necessaria provengono unicamente dalla Bibbia. Perciò, tanto più si assimilano gli insegnamenti ed i principii biblici, tanto più potremo fidarci della nostra coscienza. “Questo, infatti, è il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza, che ci siam condotti nel mondo, e più che mai verso voi, con santità e sincerità di Dio, non con sapienza carnale, ma con la Grazia di Dio” (II Corinzi 1:12), così si esprimeva l’apostolo Paolo. È sempre pericoloso credere che il nostro senso del bene e del male, del lecito e dell’illecito, abbia raggiunto un grado d’infallibilità al quale gli altri non sono ancora arrivati, per cui li reputiamo immaturi o retrogradi. Le nostre scelte non debbono essere mai il risultato di cieca ubbidienza a regole tradizionali. Determinati atti non possono essere imposti da regole umane, verso le quali, per reazioni innate, molti nutrono una profonda avversione. Come cristiani evangelici fondati sulla Bibbia, la Parola di Dio, unica ed infallibile regola della nostra fede e della nostra condotta, dobbiamo sottometterci ai principii stabiliti dalla Sacra Scrittura che possono essere così riassunti: a. La nostra coscienza può ingannarsi. “Per i contaminati ed increduli niente è puro; anzi, tanto la mente che la coscienza loro son contaminate” (Tito 1:15). L’idea che “tutto è puro per quelli che sono puri” viene tanto spesso interpretata come la possibilità di compiere ogni cosa, purché il fine sia onesto. I versi che precedono, però, ci parlano di mente e coscienza contaminate. Bisogna ricordare perciò che il nostro modo di pensare è influenzato dall’ambiente che ci circonda, al punto che, senza volerlo, ci troviamo a pensare e a comportarci come gli increduli. Per essere certi che le nostre scelte siano pure, domandiamoci se quanto facciamo onora Dio ed edifica la nostra fede. b. La nostra coscienza può fornirci una falsa sicurezza. “Non ho coscienza di colpa alcuna; non per questo però sono giustificato; ma Colui che mi giudica, è il Signore” (I Corinzi 4:4). L’apostolo, pur non avendo coscienza di colpa alcuna e non preoccupandosi dell’opinione comune, afferma la grande verità che non per questo può essere certo perché il Signore soltanto sa giudicare obiettivamente. Il salmista aveva la stessa opinione di sé quando affermava che Dio lo conosceva meglio di quanto egli conoscesse se stesso: “Chi conosce i suoi errori? Purificami da quelli che mi sono occulti” (Salmo 19:12). In un’altra occasione, invece, Paolo è certo della propria coscienza quando può dire: “Io dico la verità in Cristo, non mento, la mia coscienza me lo attesta per lo Spirito Santo…” (Romani 9:1). In questa posizione soltanto la coscienza personale può darci sicurezza. c. La Parola di Dio è la suprema autorità. “Se il cuor nostro ci condanna, Dio è più grande del cuor nostro, e conosce ogni cosa” (I Giovanni 3:20). Infatti, la coscienza illuminata dallo Spirito Santo riesce a comprendere la volontà di Dio e ne è sensibilizzata. Veniamo ora direttamente all’argomento. COSA AFFERMA LA BIBBIA Cosa dice la Parola di Dio riguardo agli ornamenti e ai gioielli? Nell’Antico Testamento troviamo tanti riferimenti anche molto precisi. Gli Ebrei, a risarcimento della loro schiavitù, avevano prelevato dagli Egiziani “degli oggetti d’argento, degli oggetti d’oro e de’ vestiti” (Esodo 12:35), che dovevano servire non per adornarsi, ma per essere offerti al Signore a favore della costruzione del tabernacolo. Infatti è scritto: “Vennero uomini e donne; quanti erano di cuor volenteroso portarono fermagli, orecchini, anelli da sigillare e braccialetti, ogni sorta di gioielli d’oro; ognuno portò qualche offerta d’oro all’Eterno” (Esodo 35:22). Dopo la miracolosa vittoria sui Madianiti, gli Ebrei, uomini e donne, non pensarono di adornarsi con i gioielli del bottino di guerra, ma dissero: “Noi portiamo, come offerta all’Eterno, ciascuno quel che ha trovato di oggetti d’oro: catenelle, braccialetti, anelli, pendenti, collane” (Numeri 31:50). In tempo di sviamento, le donne israelite, seguendo l’esempio delle donne pagane, cominciarono ad adornarsi d’oro e di monili preziosi. Questa decisione è ben descritta in Isaia 3:16-24, ed evidenzia la loro alterigia e vanità, per l’ostentazione di un abbigliamento lussuoso e di tanti gioielli. “Il Signore torrà via il lusso degli anelli dei piedi, delle reti e delle mezzelune; gli orecchini, i braccialetti ed i veli; i diademi, le catenelle de’ piedi, le cinture, i vasetti di profumo, gli amuleti; gli anelli, i cerchietti da naso; gli abiti di festa, le mantelline, gli scialli e le borse; gli specchi, le camicie finissime, le tiare e le mantiglie”. Questo testo, molto particolareggiato, sembra sottolineare non soltanto l’aspetto esteriore dell’abbigliamento, ma soprattutto il sentimento, la motivazione interiore che spingeva gli Israeliti a comportarsi in questa maniera. NEL NUOVO TESTAMENTO L`argomento è ripreso in modo chiaro nelle Epistole del Nuovo Testamento. “…Le donne si adornino d’abito convenevole, con verecondia e modestia: non di trecce e d’oro o di perle o di vesti sontuose, ma d’opere buone, come s’addice a donne che fanno professione di pietà” (I Timoteo 2:9, 10). Una parafrasi dello stesso testo traduce: “Anche le donne si vestano con abiti decenti, con modestia e semplicità. I loro ornamenti non siano complicate pettinature, gioielli d’oro, perle, e vestiti lussuosi. Invece siano ornate di opere buone, adatte a donne che dicono di amare Dio”. Ancora: “Il vostro ornamento non sia l’esteriore che consiste nell’intrecciatura dei capelli, nel mettersi attorno gioielli d’oro, nell’indossare vesti sontuose, ma l’essere occulto del cuore fregiato dell’ornamento incorruttibile dello spirito benigno e pacifico, che agli occhi di Dio

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Svenire nello Spirito

Svenire nello Spirito È BIBLICO CHE QUANTI RISPONDONO ALL’APPELLO PER LA PREGHIERA, SE TOCCATI DA CERTI PREDICATORI, CADANO SUPINI? Questo metodo del cadere, è comunemente definito in ambienti carismatici “svenire nello Spirito” (in inglese: “Slain in the Spirit”, lett. “morire nello Spirito”), ma questa frase non è stata mai trovata nel testo biblico. Pur non entrando nel merito del fatto in sé, sulla natura stessa della “manifestazione”, che certamente è sensazionale, poniamoci obiettivamente la domanda: esistono passi biblici a sostegno di questo metodo? Il principio evangelico fondamentale per ogni metodo nell’esercizio del ministerio cristiano, stabilito dalla Parola di Dio è: imparare “… a praticare il ‘non oltre quel che è scritto’ …” (I Corinzi 4:6). Questa regola è l’unica garanzia della sana dottrina evangelica. Il principio per una valida interpretazione della Sacra Scrittura è il messaggio biblico globale. Non si può interpretare in modo improprio un versetto biblico, questo non può, né deve mai essere preso fuori del suo contesto. Occorre altresì ricordare che le prove scritturali della dottrina e della metodologia, nell’attuazione del ministerio cristiano dato dal Signore risorto e vivente, sono tratte dal Nuovo Testamento e qui sono esposte. Nel libro degli Atti degli Apostoli dottrina e metodologia sono espresse in modo pratico nella chiesa dell’era apostolica. Nelle Epistole invece questi sono trattati in modo teorico e didattico. Nell’Antico Testamento le dottrine sono soltanto in “embrione”, infatti, è noto che il Nuovo Testa-mento è nascosto nell’Antico e l’Antico Testamento è rivelato dal Nuovo. Tutto quello che va “oltre quel che è scritto”, e che non trova fondamento e conferma nel Nuovo Testamento, è sempre “dubbio” e non può essere accettato a cuor leggero. Già da molti anni in riunioni di “evangelizzazione” e di “risveglio” particolari, ed usiamo i due termini in senso lato, come li utilizzano questi “evangelisti specializzati”, sono avvenute manifestazioni di massa che possono essere considerate “dubbie” e non conformi a “quel che è scritto”. Non intendiamo esaminare la natura di questi metodi, per stabilire se essi siano conseguenza di una manipolazione psicologica o di altro. Quello che ci interessa è appurare se siano scritturali. Nel Nuovo Testamento, non esiste alcun caso di persone alle quali siano state imposte le mani per la preghiera e che siano caduti all’indietro, né tantomeno risulta che i ministri avessero dei collaboratori dedicati ad “adagiare” quelli che “cadevano” a terra, per evitare che si facessero male fisicamente. Esistono almeno cinque casi nel Nuovo Testamento, nei quali si parla di persone che cadono: a. Al momento della trasfigurazione di Gesù – Alle parole divine dal cielo: “… ‘Questo è il mio diletto Figliuolo, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo’. E i discepoli, udito ciò, caddero con la faccia a terra, e furon presi da gran timore” (Matteo 17:5, 6); b. All’arresto di Gesù – Quando Egli disse: “… ‘Io sono’, indietreggiarono e caddero a terra” (Giovanni 18:6; Vers. N.R.); c. Il caso di Anania – Egli udite le parole di Pietro “… cadde e spirò …” (Atti 5:5); così pure sua moglie Saffira poco dopo “… cadde ai suoi piedi e spirò …” (Atti 5:10); d. Paolo a Troas – Mentre era in una riunione con i credenti “… prolungò il discorso fino a mezzanotte … un giovane di nome Eutico, che stava seduto sul davanzale della finestra, fu colto da un sonno profondo … precipitò giù dal terzo piano, e venne raccolto morto” (Atti 20:7-9; Vers. N.R.); e. Il caso di Giovanni – L’apostolo dinanzi alla visione del Signore glorificato scrive: “E quando l’ebbi veduto, caddi ai suoi piedi come morto; ed egli mise la sua man destra su di me, dicendo: Non temere; io sono il primo e l’ultimo, e il Vivente; e fui morto, ma ecco son vivente per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades” (Apocalisse 1:17, 18). Dai suddetti testi del Nuovo Testamento, tranne nel caso di Eutico, notiamo: a. Il cadere è sempre spontaneo e non procurato da alcun contatto umano o imposizione di mani; b. Il cadere rivela la fragilità della natura umana, dinanzi all’intervento divino; c. È sempre collegato con la Parola autorevole di Dio; d. Non è mai conseguenza di un metodo di preghiera o di un atto del ministerio cristiano; e. Quando non si tratta di giudizio divino, il cadere ai piedi del Signore con la faccia a terra, è atto di umiliazione ed adorazione. È un prostrarsi come nel caso dei magi in Matteo 2:11. Nell’Antico Testamento, la frase comune per indicare un atto di adorazione a Dio, era “caddi sulla mia faccia” (Ezechiele 1:28; 3:23; 9:8; 44:4; Daniele 8:17). È comunque opportuno ribadire che questo cadere era sempre spontaneo e mai procurato dall’intervento umano. Un altro caso è quello di Eli il sommo sacerdote, che alla notizia della morte dei figli e dell’Arca di Dio presa come bottino di guerra, “… cadde dalla sua sedia all’indietro … si ruppe la nuca e morì …” (I Samuele 4:18). La caduta all’indietro è segno di giudizio divino e non di benedizione; per coloro che sono ribelli è scritto: “… affinché essi andassero a cadere a rovescio, fossero fiaccati, colti al laccio e presi!” (Isaia 28:13). Una parafrasi moderna dello stesso testo traduce: “Ad ogni passo cadranno all’indietro, si romperanno le ossa, saranno presi e condotti in prigione” (TILC). Qual è allora l’utilità di tale metodo? È quello di riconoscere l’autorità “spirituale” del predicatore, il quale ha la capacità di “far cadere” dimostrando così il proprio ministerio “carismatico”. Quello di cadere con la faccia a terra, umiliati davanti a Dio, è un metodo di adorazione che esprime tutta la fragilità umana dinanzi all’onnipotenza e alla magnificenza divina, ma è sempre un atto privato e non si confonde con il piegarsi dinanzi ad un altro uomo. Basti ricordare l’atto d’omaggio di Cornelio, quando Pietro lo rialzò dicendo: “Alzati, anch’io sono un uomo” (cfr. Atti 10:25, 26). Questo metodo del cadere, quando si viene toccati dall’evangelista, è comunemente definito in ambienti carismatici: “svenire nello Spirito” (in inglese: “Slain in the Spirit”, lett. “morire nello Spirito”), ma questa frase, per quante ricerche accurate siano state fatte nel testo biblico, non è stata

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La cremazione dei defunti

La cremazione dei defunti Le autorità delle grandi città incoraggiano la cremazione dei defunti. Qual è la posizione degli evangelici? Il fenomeno dell’urbanizzazione ha spinto le autorità, soprattutto nelle grandi città, ad incoraggiare la cremazione dei defunti piuttosto che la inumazione, facendo leva sul fatto che non c’è più posto per grandi cimiteri monumentali oltre a quelli ormai tradizionali esistenti. La posizione evangelica sull’argomento può essere considerata sotto vari aspetti. Il cristianesimo non accettò mai la cremazione per parecchie ragioni. Nell’Antico Testamento si nota l’assenza totale del rito funebre della crema-zione (Gen. 23:19; 25:9; 35:29; 50:13; Deut. 34:6; Isaia 25:1; ecc.) e nel Nuovo troviamo ripetuti riti di seppellimento. Possiamo rinvenire anche la presenza di un divieto specifico della cremazione, ritenuta un rito abominevole, che si riferisce al crudele culto pagano in onore di Moloc, una deità pagana degli Ammoniti (I Re 11:7), al quale si immolavano dei fanciulli che venivano arsi vivi. Per questa ragione è scritto: “Non darai i tuoi figli perché vengano offerti a Moloc; e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore” (Lev. 18:21); “Non imparerai ad imitare le pratiche abominevoli di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco…” (Deut. 18:9, 10); “Acaz… non fece ciò che è giusto agli occhi del Signore, suo Dio, ma seguì l’esempio d’Israele, e fece passare per il fuoco perfino suo figlio, seguendo le pratiche abominevoli delle genti che il Signore aveva cacciate davanti ai figli d’Israele” (II Re 16:2, 3). Prima ancora della Sua morte, difendendo l’atto d’amore di Maria di Betania, Gesù aveva fatto uno riferimento specifico all’inumazione dicendo: “…l’ha fatto in vista della mia sepoltura” (Matt. 26:12). In seguito è specificato che Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo “presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in fasce con gli aromi, secondo il modo di seppellire in uso presso i Giudei” (Giov. 19:40). I cristiani, seguendo l’esempio di Gesù e secondo l’uso invalso tra gli Ebrei, non accettarono mai la cremazione proprio per non uniformarsi alle consuetudini pagane. Infatti, nel Nuovo Testamento abbiamo alcuni riferimenti al seppellimento, ma mai alla cremazione (Atti 4:6, 9, 10; 8:2). Inoltre i cristiani allo scopo di manifestare la propria fede nella resurrezione dei morti attuarono costantemente l’inumazione dei defunti, condannando in diverse occasioni la cremazione in polemica con autori pagani. Questa loro consuetudine permise la costituzione di quei grandi cimiteri cristiani che sono le catacombe, le quali soltanto nel sottosuolo di Roma, con i loro stretti corridoi sotterranei, si diramano per oltre quaranta chilometri e rappresentano una testimonianza sempre attuale della fede in Cristo che vince la morte. Occorre tuttavia sottolineare che i cristiani non accettano la cremazione non certamente perché, come qualche dissennato ha affermato, hanno timore che non possano poi risorgere dalle ceneri. Dio è il Creatore e può richiamare in giudizio perfino i morti restituiti dal mare (Apoc. 20:13). Piuttosto i credenti non inceneriscono il loro corpo per un atto di rispetto verso il Creatore e perché esso è il tempio dello Spirito Santo (I Cor. 6:19; 3:16, 17). Un’altra ragione plausibile contro la cremazione sta nel fatto che dopo il IV secolo questa scomparve quasi del tutto per l’influenza del cristianesimo, per riapparire poi alla fine del 1700, durante la rivoluzione francese, quando vennero addotti motivi pratici ed igienici. Nel 1800 si diffuse per la propaganda di associazioni dichiaratamente atee, in polemica con la fede nell’immortalità e nella resurrezione. Infatti, la cremazione è stata da allora voluta da coloro che in questo modo desideravano affermare la propria negazione dell’eternità. In ultima analisi, quindi, rifiutarsi di permettere che il proprio corpo sia cremato vuol dire identificarsi con coloro che testimoniano della loro fede nell’immortalità e nella resurrezione come promessa dal Signore. Qualora, come è capitato nel caso di epidemie, sia disposta d’autorità la cremazione dei morti, in assenza della dichiarata volontà degli interessati, i cristiani continueranno a credere nell’immortalità e ad attendere che “il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo, e con la tromba di Dio scenderà dal cielo, e prima resusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore ” (I Tess. 4:16, 17). a cura di Francesco Toppi