Gli Scritti

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Svenire nello Spirito

Svenire nello Spirito È BIBLICO CHE QUANTI RISPONDONO ALL’APPELLO PER LA PREGHIERA, SE TOCCATI DA CERTI PREDICATORI, CADANO SUPINI? Questo metodo del cadere, è comunemente definito in ambienti carismatici “svenire nello Spirito” (in inglese: “Slain in the Spirit”, lett. “morire nello Spirito”), ma questa frase non è stata mai trovata nel testo biblico. Pur non entrando nel merito del fatto in sé, sulla natura stessa della “manifestazione”, che certamente è sensazionale, poniamoci obiettivamente la domanda: esistono passi biblici a sostegno di questo metodo? Il principio evangelico fondamentale per ogni metodo nell’esercizio del ministerio cristiano, stabilito dalla Parola di Dio è: imparare “… a praticare il ‘non oltre quel che è scritto’ …” (I Corinzi 4:6). Questa regola è l’unica garanzia della sana dottrina evangelica. Il principio per una valida interpretazione della Sacra Scrittura è il messaggio biblico globale. Non si può interpretare in modo improprio un versetto biblico, questo non può, né deve mai essere preso fuori del suo contesto. Occorre altresì ricordare che le prove scritturali della dottrina e della metodologia, nell’attuazione del ministerio cristiano dato dal Signore risorto e vivente, sono tratte dal Nuovo Testamento e qui sono esposte. Nel libro degli Atti degli Apostoli dottrina e metodologia sono espresse in modo pratico nella chiesa dell’era apostolica. Nelle Epistole invece questi sono trattati in modo teorico e didattico. Nell’Antico Testamento le dottrine sono soltanto in “embrione”, infatti, è noto che il Nuovo Testa-mento è nascosto nell’Antico e l’Antico Testamento è rivelato dal Nuovo. Tutto quello che va “oltre quel che è scritto”, e che non trova fondamento e conferma nel Nuovo Testamento, è sempre “dubbio” e non può essere accettato a cuor leggero. Già da molti anni in riunioni di “evangelizzazione” e di “risveglio” particolari, ed usiamo i due termini in senso lato, come li utilizzano questi “evangelisti specializzati”, sono avvenute manifestazioni di massa che possono essere considerate “dubbie” e non conformi a “quel che è scritto”. Non intendiamo esaminare la natura di questi metodi, per stabilire se essi siano conseguenza di una manipolazione psicologica o di altro. Quello che ci interessa è appurare se siano scritturali. Nel Nuovo Testamento, non esiste alcun caso di persone alle quali siano state imposte le mani per la preghiera e che siano caduti all’indietro, né tantomeno risulta che i ministri avessero dei collaboratori dedicati ad “adagiare” quelli che “cadevano” a terra, per evitare che si facessero male fisicamente. Esistono almeno cinque casi nel Nuovo Testamento, nei quali si parla di persone che cadono: a. Al momento della trasfigurazione di Gesù – Alle parole divine dal cielo: “… ‘Questo è il mio diletto Figliuolo, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo’. E i discepoli, udito ciò, caddero con la faccia a terra, e furon presi da gran timore” (Matteo 17:5, 6); b. All’arresto di Gesù – Quando Egli disse: “… ‘Io sono’, indietreggiarono e caddero a terra” (Giovanni 18:6; Vers. N.R.); c. Il caso di Anania – Egli udite le parole di Pietro “… cadde e spirò …” (Atti 5:5); così pure sua moglie Saffira poco dopo “… cadde ai suoi piedi e spirò …” (Atti 5:10); d. Paolo a Troas – Mentre era in una riunione con i credenti “… prolungò il discorso fino a mezzanotte … un giovane di nome Eutico, che stava seduto sul davanzale della finestra, fu colto da un sonno profondo … precipitò giù dal terzo piano, e venne raccolto morto” (Atti 20:7-9; Vers. N.R.); e. Il caso di Giovanni – L’apostolo dinanzi alla visione del Signore glorificato scrive: “E quando l’ebbi veduto, caddi ai suoi piedi come morto; ed egli mise la sua man destra su di me, dicendo: Non temere; io sono il primo e l’ultimo, e il Vivente; e fui morto, ma ecco son vivente per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades” (Apocalisse 1:17, 18). Dai suddetti testi del Nuovo Testamento, tranne nel caso di Eutico, notiamo: a. Il cadere è sempre spontaneo e non procurato da alcun contatto umano o imposizione di mani; b. Il cadere rivela la fragilità della natura umana, dinanzi all’intervento divino; c. È sempre collegato con la Parola autorevole di Dio; d. Non è mai conseguenza di un metodo di preghiera o di un atto del ministerio cristiano; e. Quando non si tratta di giudizio divino, il cadere ai piedi del Signore con la faccia a terra, è atto di umiliazione ed adorazione. È un prostrarsi come nel caso dei magi in Matteo 2:11. Nell’Antico Testamento, la frase comune per indicare un atto di adorazione a Dio, era “caddi sulla mia faccia” (Ezechiele 1:28; 3:23; 9:8; 44:4; Daniele 8:17). È comunque opportuno ribadire che questo cadere era sempre spontaneo e mai procurato dall’intervento umano. Un altro caso è quello di Eli il sommo sacerdote, che alla notizia della morte dei figli e dell’Arca di Dio presa come bottino di guerra, “… cadde dalla sua sedia all’indietro … si ruppe la nuca e morì …” (I Samuele 4:18). La caduta all’indietro è segno di giudizio divino e non di benedizione; per coloro che sono ribelli è scritto: “… affinché essi andassero a cadere a rovescio, fossero fiaccati, colti al laccio e presi!” (Isaia 28:13). Una parafrasi moderna dello stesso testo traduce: “Ad ogni passo cadranno all’indietro, si romperanno le ossa, saranno presi e condotti in prigione” (TILC). Qual è allora l’utilità di tale metodo? È quello di riconoscere l’autorità “spirituale” del predicatore, il quale ha la capacità di “far cadere” dimostrando così il proprio ministerio “carismatico”. Quello di cadere con la faccia a terra, umiliati davanti a Dio, è un metodo di adorazione che esprime tutta la fragilità umana dinanzi all’onnipotenza e alla magnificenza divina, ma è sempre un atto privato e non si confonde con il piegarsi dinanzi ad un altro uomo. Basti ricordare l’atto d’omaggio di Cornelio, quando Pietro lo rialzò dicendo: “Alzati, anch’io sono un uomo” (cfr. Atti 10:25, 26). Questo metodo del cadere, quando si viene toccati dall’evangelista, è comunemente definito in ambienti carismatici: “svenire nello Spirito” (in inglese: “Slain in the Spirit”, lett. “morire nello Spirito”), ma questa frase, per quante ricerche accurate siano state fatte nel testo biblico, non è stata

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La cremazione dei defunti

La cremazione dei defunti Le autorità delle grandi città incoraggiano la cremazione dei defunti. Qual è la posizione degli evangelici? Il fenomeno dell’urbanizzazione ha spinto le autorità, soprattutto nelle grandi città, ad incoraggiare la cremazione dei defunti piuttosto che la inumazione, facendo leva sul fatto che non c’è più posto per grandi cimiteri monumentali oltre a quelli ormai tradizionali esistenti. La posizione evangelica sull’argomento può essere considerata sotto vari aspetti. Il cristianesimo non accettò mai la cremazione per parecchie ragioni. Nell’Antico Testamento si nota l’assenza totale del rito funebre della crema-zione (Gen. 23:19; 25:9; 35:29; 50:13; Deut. 34:6; Isaia 25:1; ecc.) e nel Nuovo troviamo ripetuti riti di seppellimento. Possiamo rinvenire anche la presenza di un divieto specifico della cremazione, ritenuta un rito abominevole, che si riferisce al crudele culto pagano in onore di Moloc, una deità pagana degli Ammoniti (I Re 11:7), al quale si immolavano dei fanciulli che venivano arsi vivi. Per questa ragione è scritto: “Non darai i tuoi figli perché vengano offerti a Moloc; e non profanerai il nome del tuo Dio. Io sono il Signore” (Lev. 18:21); “Non imparerai ad imitare le pratiche abominevoli di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco…” (Deut. 18:9, 10); “Acaz… non fece ciò che è giusto agli occhi del Signore, suo Dio, ma seguì l’esempio d’Israele, e fece passare per il fuoco perfino suo figlio, seguendo le pratiche abominevoli delle genti che il Signore aveva cacciate davanti ai figli d’Israele” (II Re 16:2, 3). Prima ancora della Sua morte, difendendo l’atto d’amore di Maria di Betania, Gesù aveva fatto uno riferimento specifico all’inumazione dicendo: “…l’ha fatto in vista della mia sepoltura” (Matt. 26:12). In seguito è specificato che Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo “presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in fasce con gli aromi, secondo il modo di seppellire in uso presso i Giudei” (Giov. 19:40). I cristiani, seguendo l’esempio di Gesù e secondo l’uso invalso tra gli Ebrei, non accettarono mai la cremazione proprio per non uniformarsi alle consuetudini pagane. Infatti, nel Nuovo Testamento abbiamo alcuni riferimenti al seppellimento, ma mai alla cremazione (Atti 4:6, 9, 10; 8:2). Inoltre i cristiani allo scopo di manifestare la propria fede nella resurrezione dei morti attuarono costantemente l’inumazione dei defunti, condannando in diverse occasioni la cremazione in polemica con autori pagani. Questa loro consuetudine permise la costituzione di quei grandi cimiteri cristiani che sono le catacombe, le quali soltanto nel sottosuolo di Roma, con i loro stretti corridoi sotterranei, si diramano per oltre quaranta chilometri e rappresentano una testimonianza sempre attuale della fede in Cristo che vince la morte. Occorre tuttavia sottolineare che i cristiani non accettano la cremazione non certamente perché, come qualche dissennato ha affermato, hanno timore che non possano poi risorgere dalle ceneri. Dio è il Creatore e può richiamare in giudizio perfino i morti restituiti dal mare (Apoc. 20:13). Piuttosto i credenti non inceneriscono il loro corpo per un atto di rispetto verso il Creatore e perché esso è il tempio dello Spirito Santo (I Cor. 6:19; 3:16, 17). Un’altra ragione plausibile contro la cremazione sta nel fatto che dopo il IV secolo questa scomparve quasi del tutto per l’influenza del cristianesimo, per riapparire poi alla fine del 1700, durante la rivoluzione francese, quando vennero addotti motivi pratici ed igienici. Nel 1800 si diffuse per la propaganda di associazioni dichiaratamente atee, in polemica con la fede nell’immortalità e nella resurrezione. Infatti, la cremazione è stata da allora voluta da coloro che in questo modo desideravano affermare la propria negazione dell’eternità. In ultima analisi, quindi, rifiutarsi di permettere che il proprio corpo sia cremato vuol dire identificarsi con coloro che testimoniano della loro fede nell’immortalità e nella resurrezione come promessa dal Signore. Qualora, come è capitato nel caso di epidemie, sia disposta d’autorità la cremazione dei morti, in assenza della dichiarata volontà degli interessati, i cristiani continueranno a credere nell’immortalità e ad attendere che “il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo, e con la tromba di Dio scenderà dal cielo, e prima resusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore ” (I Tess. 4:16, 17). a cura di Francesco Toppi

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Eliana Rustici

Eliana Rustici Eleonora Rustici, più nota come Eliana, nacque a Terni il 30 maggio 1912 da genitori evangelici metodisti ed ebbe quindi una educazione strettamente cristiana ed evangelica fin da piccina. Non si sa molto della conversione all’Evangelo di Giuseppe Rustici e della consorte Amabilia, ambedue nati e vissuti in Umbria per circa cinquanta anni. Tuttavia, Rustici è un cognome illustre tra i riformati italiani del seicento. Filippo Rustici, medico lucchese, è ricordato per una revisione della Bibbia del Brucioli, pubblicata a Ginevra nel 1562, ma è soltanto una pura coincidenza. Nel 1929 la famiglia Rustici si trasferì da Orvieto a Milano, dove Giuseppe poteva svolgere con maggiore successo la propria attività di rappresentante di commercio. Eliana, nonostante avesse sofferto fin da bambina di una grave forma di artritismo che le aveva procurato un difetto cardiaco, con l’applicazione e la sua intelligenza non comune, studiò e riuscì ben presto a trovare un ottimo impiego come segretaria d’azienda presso la sede della Remington. Intanto con la famiglia era membro della Chiesa metodista di Milano e molto interessata alla vita comunitaria. Tuttavia avvertiva dentro di sè un vuoto che insieme ai genitori cercava di riempire. Avida lettrice, si era fatta una profonda cultura di storia della Chiesa ed in particolare del risveglio metodista e del suo animatore, Giovanni Wesley. Notava la differenza tra le esperienze di fede dell’iniziale movimento metodista e l’aridità della comunità nella quale viveva, desiderando ardentemente la stessa esperienza che Wesley aveva realizzato: “la nuova nascita”. La sua ricerca la spingeva a visitare le altre chiese evangeliche della città e per un tempo frequentò anche la comunità valdese, ispirata ed entusiasmata dai sermoni del giovane pastore Mariano Moreschini. In questa sua affannosa e continua ricerca fu aiutata da una sua collega ed amica, Ada Rossi, che nel 1933 le parlò di un piccolo gruppo di credenti evangelici che stava rivivendo l’esperienza dei giorni apostolici e che come i primi cristiani erano perseguitati e si radunavano clandestinamente in casa privata. Eliana scoperse allora che l’opera dello Spirito Santo, della quale aveva sentito parlare come una dichiarazione teorica, era una realtà capace di rendere attuale l’opera di Cristo con la “nuova nascita” del credente, col battesimo nello Spirito Santo, con la guarigione divina, con le grazie ed i carismi che si manifestano individualmente a favore dei credenti. Ecco che nel messaggio pentecostale “trovava quell’elemento mancante che riusciva a rendere attiva ed operante l’antica storia della Redenzione. La sofferenza e la morte di Cristo assumevano nuove dimensioni e sembravano staccarsi da quel loro tradizionale e sbiadito scenario. (…). Il miracolo della salvezza era una realtà ed ella prendeva a percorrere il resto della Sua vita a fianco del Redentore” (1). Ben presto, Eliana ed i genitori, dopo l’esperienza della “nuova nascita” e del battesimo nello Spirito Santo, si integrarono nella piccola ma fervente comunità pentecostale che si radunava privatamente, curata prima da Francesco Testa e, dal 1933 in poi, da Mario Lucini, che nel frattempo era rientrato dalla Francia. In quel periodo i contatti con le chiese erano difficili, tuttavia Umberto N. Gorietti, spesso a Milano per ragioni di lavoro, visitando il gruppo, stabilì una fraterna amicizia con la famiglia Rustici e soprattutto con Giuseppe, anche per affinità professionale. Nonostante i Rustici fossero una famiglia serena, furono anch’essi nel mirino della polizia. Su richiesta del Prefetto di Siena vennero richieste informazioni riservate alla Prefettura di Milano. Il documento del 16 ottobre 1939 dichiara tra l’altro: “La famiglia Rustici, che professa la religione evangelica, qui non ha mai dato luogo a rilievi” (2). La richiesta del Prefetto di Siena fa presumere che in quella città Giuseppe Rustici, durante tanti viaggi per ragioni di lavoro, abbia incontrato i fratelli del piccolo gruppo pentecostale allora esistente, e di conseguenza ecco scattare l’indagine della polizia. La vita serena di Eltana Rustici fu poco dopo sconvolta da una serie di prove e di lutti. Dopo breve malattia, all’età di 61 anni, terminò il suo pellegrinaggio terreno la madre e nell’autunno del 1941 all’età di 59 anni, venne a mancare per infarto cardiaco, anche il padre Giuseppe. Giuseppe Rustici si trovava a Roma per ragioni di lavoro e mentre era presso una ditta, avvertì una tremenda fitta al cuore, fece appena in tempo a telefonare al fratello Gorietti perché lo raggiungesse al policlinico dove si stava dirigendo in taxi. L’amico fraterno corse al pronto soccorso appena in tempo per pregare con lui e vederlo andarsene col suo Signore che aveva tanto gioiosamente amato e servito. Fu un dolore per tutta la comunità di Roma, che spesso il fratello Rustici visitava, e che aveva imparato ad amarlo per la schiettezza dei suoi sentimenti e la sua bonarietà. Fu così che nell’autunno del 1941, Eliana Rustici giunse a Roma per i funerali del padre, accolta con profondo affetto fraterno. Praticamente Eliana era rimasta sola, l’unico fratello, mai convertito, era militare, quindi fu invitata a rimanere qualche giorno a Roma. Venne accolta da Angela Ghirielli Arcangeli ed in quei giorni maturò l’idea di trasferirsi definitivamente a Roma. La ragione allora addotta fu il clima di Roma più clemente di quello di Milano e più confacente alla sua salute cagionevole, ma forse giocarono in favore di questa decisione anche la calorosa accoglienza della comunità di Roma che, essendo più numerosa, poteva esserle di maggior aiuto morale e spirituale, ed il fatto che si riavvicinava all’ambiente della sua fanciullezza. Sebbene fosse una donna di profonda intuizione, nè lei né altri, videro allora in quella scelta una vera e propria guida divina per quello che in seguito sarebbe stata la sua visione e chiamata. Si era in tempo di guerra, ma quasi miracolosamente fu subito assunta come segretaria del presidente di una notissima società e vi rimase, sempre altamente stimata per la sua professionalità e serietà, fino alle sue dimissioni presentate nel 1956, quando prenderà corpo la sua visione e missione. A Roma, Eliana Rustici abitò sempre presso quel n. 10 di via Clitunno che, durante la persecuzione, divenne in pratica la sede clandestina della comunità pentecostale. Anni prima, Luigi Arcangeli, vice anziano della chiesa di Roma – oggi sarebbe chiamato assistente pastore – aveva affittato tutto il villino di sei stanze e vi abitavano tre famiglie pentecostali, oltre agli ospiti di passaggio. Lo spazio non era molto, ma allora bastava molto poco per essere soddisfatti. Qui, e si era in piena persecuzione, si tenevano

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Considerazioni sugli usi natalizi

Considerazioni sugli usi natalizi Il presepio e l’albero di Natale Anche la rappresentazione del presepio non ha nessun fondamento biblico, ed è noto che la tradizione ascrive a Francesco d’Assisi la paternità del primo presepe, che ideò a Greggio nel 1223.  È evidente che questa rappresentazione, pur avendo un valore artistico e folcloristico, è in contrasto con l’insegnamento divino espresso nella Bibbia al secondo comandamento.   Infatti è detto: “Non avere altri dii nel mio cospetto. Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù ne’ cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra; non ti prostrare dinanzi a tali cose e non servir loro, perché io, l’Eterno, l’Iddio tuo, sono un Dio geloso …” (Esodo 20:3-5). Ancora, nel Nuovo Testamento è scritto: “Non dobbiamo credere che la Divinità sia simile ad oro, ad argento, o a pietra scolpiti dall’arte e dall’immaginazione umana” (Atti 17:29).   Ecco perché, dirà qualcuno, nei paesi protestanti la gente preferisce l’albero di Natale. Da qualche anno, poi, ambedue queste tradizioni si integrano nella festa natalizia.  Se la rappresentazione del presepio è iniziata nell’ambito del Cristianesimo di massa, l’albero di Natale ha origini prettamente pagane. Gli antichi popoli pagani germanici usavano decorare le loro case con piante sempreverdi che consideravano come sede degli spiriti della vita e della fecondità.  Infatti, alcune di queste piante sempreverdi, come il pungitopo ed il vischio, non soltanto erano vitali nelle gelide stagioni invernali, ma producevano perfino dei frutti, a riprova della loro fertilità.  Questi alberi o arbusti erano quindi decorati con luci e fronzoli diversi. Ad esempio i Druidi, sacerdoti degli antichi popoli celtici, i quali abitavano soprattutto nel moderno Galles, in Gran Bretagna, adornavano, nel periodo di fine anno, i rami di questi alberi con mele decorate.   Dopo queste considerazioni di carattere biblico e storico qualcuno dirà: “D’accordo, ma che male c’è nel celebrare il Natale? Non è forse una buona occasione per richiamare l’attenzione di tutti, credenti ed increduli, a ricordare Gesù ed onorarLo?   Non ci sarebbe nulla da obiettare a questa tesi, se la Sacra Scrittura, la Bibbia, Rivelazione di Dio all’uomo, non avesse parlato tanto chiaramente a riguardo, ordinando di evitare quanto è pagano ed inutile, ed invitando i cristiani fedeli all’Evangelo a condursi “… come figliuoli di luce … esaminando che cosa sia accetto al Signore” (Efesini 5:8-10) ed esortando a non partecipare “… alle opere infruttuose delle tenebre …” (Efesini 5:11).  Già nell’Antico Testamento Dio richiamava il Suo popolo: “Così parla l’Eterno: Non imparate a camminare nella via delle nazioni … Poiché i costumi dei popoli sono vanità; giacché si taglia un albero nella foresta e le mani dell’operaio lo lavorano con l’ascia; lo si adorna d’argento e d’oro, lo si fissa con chiodi e coi martelli perché non si muova” (Geremia 10:2-4).   Nel Nuovo Testamento è scritto: “ … qual comunione tra la luce e le tenebre? E quale armonia fra Cristo e Beliar? O che v’è di comune tra il fedele e l’infedele?” (II Corinzi 6:14, 15).   Tutto quanto è tradizione e paganesimo è detestato da Dio. Gesù stesso riprende duramente i religiosi del Suo tempo: “… perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione? … Avete annullata la parola di Dio a cagione della vostra tradizione” (Matteo 15:3, 6); “Voi, lasciato il comandamento di Dio, state attaccati alla tradizione degli uomini” (Marco 7:8).   Obiettivamente e coerentemente con l’insegnamento della Parola di Dio, non possiamo, quindi, accettare le tradizioni umane, anche se esse sono espressioni folcloristiche e culturali, poiché desideriamo continuare ad essere saldi nella verità rivelataci nella Bibbia da Cristo, nostro Signore, ancorati alla “… fede, che è stata una volta per sempre trasmessa ai santi” (Giuda 3).    Ragioni culturali Gli evangelici pentecostali italiani per la loro peculiare formazione religioso-culturale, coerenti con la propria esperienza di fede, fin dal principio hanno desiderato ripudiare tutto quello che non era fondamentalmente biblico e, in conseguenza del fatto che la maggior parte di loro provenivano da un sistema religioso formale intriso di riti e di cerimonie, vollero “rompere” totalmente con il passato che, tra l’altro, ricordava loro soltanto sopraffazione ed ignoranza.   Liberati dalla potenza dell’Evangelo di Cristo, essi scopersero la gioiosa possibilità di “adorare Dio” in “spirito e verità”, in una forma spontanea, libera dalla pastoia di liturgie precostituite.  Perciò rinunciarono a quelle festività che ormai erano più manifestazioni popolari e di folclore, che cristiane in senso spirituale e biblico, affermando che essi ricordavano in ogni momento Gesù nato, morto e risorto per loro, perché lo Spirito Santo, con la Sua azione continua, faceva del Signore, non soltanto un grande personaggio storico del passato, ma il loro Maestro, Consolatore e Sovrano.   Ciò non significa, però, che nei periodi delle festività suddette, questi giorni non si debbano utilizzare per scopi evangelistici, richiamando l’attenzione della gente al vero senso dei testi biblici. Difatti, si rende evidente come queste feste abbiano sempre più scopi commerciali e di riposo, piuttosto che fini spirituali.   Ancora oggi, se interrogati, gli evangelici pentecostali risponderanno: “Per noi Natale, Pasqua, Pentecoste sono tutti i giorni dell’anno, perché Gesù vive in noi per fede”.   La risposta potrà sembrare semplicistica, ma chiunque ha incontrato Cristo, e Lo ha accettato come proprio personale Salvatore, vive in modo così attuale la propria esperienza di fede da ritenere inutile, anzi controproducente, uniformarsi a feste tradizionali, perché Gesù è una realtà vivente e quotidiana.   F. Toppi – A domanda risponde III 

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Ferragosto

Ferragosto Secondo un vecchio detto siciliano agosto è il principio dell’inverno. Quando inizia l’ultimo mese delle vacanze estive, ci si prepara a ricominciare l’anno lavorativo. Da anni si è scelto di fare festa a metà agosto. Che si tratti di una gita in campagna o montagna, oppure una cena in spiaggia, tantissimi scelgono di festeggiare Ferragosto.  Il significato del Ferragosto nelle origini. La giornata ha origini risalenti al periodo romano e al calendario pagano: il termine deriva dal latino feriae Augusti, momento in cui i romani si astenevano dai raccolti. Il nome significa “riposo di Augusto”, in onore di Ottaviano Augusto, primo imperatore romano, da cui prende il nome il mese di agosto. E’ stato proprio lui a stabilire questa festività nel 18 a.C. che andava ad aggiungersi ai Nemoralia e ai Vinalia rustica, feste che nel mese di agosto celebravano i raccolti e la fine dei lavori agricoli, dedicate a Conso, il dio della terra e della fertilità nella religione romana. In questo modo, si concedeva al popolo un meritato periodo di riposo dopo le grandi fatiche delle settimane precedenti. Anticamente, il Ferragosto era celebrato l’1 agosto con corse di cavalli, feste, decorazioni floreali, ma i giorni di pausa erano molti di più, tanto che si arrivava fino al 15 di agosto.Nacque, quindi, come riposo dal lavoro nei campi. In molti posti è acceso un falò. Fino al sinodo di Magonza (742 d.C.) era vietato come pagano. Patrizio, evangelizzatore dell’Irlanda, tollerò che fosse introdotto in quella nazione per la Pasqua come sostituto dei falò dei druidici pagani di primavera. Il fuoco divenne così simbolo di Cristo. L’affermazione del Ferragosto come festività religiosa. È stata la Chiesa cattolica a spostare i festeggiamenti a questa data, assimilando la festa pagana intorno al VII secolo, quando è stata fissata al 15 agosto, giorno in cui si celebra la festività della cosiddetta “Assunzione di Maria”. Secondo la Tradizione cattolica sarebbe il giorno in cui Maria fu accolta in cielo anima e corpo, simboleggiando la morte e la rinascita. Molte delle tradizioni diffuse ancora oggi nella giornata di Ferragosto derivano proprio da questi antichi significati. Da festa pagana a cattolica, dunque.  Come si festeggia il Ferragosto? Nel 2013, l’Unesco ha inserito la celebrazione nel Patrimonio orale e immateriale dell’umanità. Dal 1182 nelle Marche c’è la tradizionale “Cavalcata dell’Assunta di Fermo”: con celebrazioni religiose, cortei in costume e tornei sportivi.In Sardegna si celebra la “Faradda de li candareri”, nel cuore di Sassari. Una processione religiosa che deriva da un voto fatto alla Madonna nel 1652, che avrebbe poi salvato la città dall’arrivo della peste, al tempo maggiore motivo di morte in Europa. Nel mondo non scarseggiano i festeggiamenti del Ferragosto. A Madrid celebrano la “festa della Paloma”, in Irlanda la “Féile Mhuire ‘sa bhFomhar”, in Canada “l’Acadian day”. Il 15 agosto In India si festeggia l’indipendenza del Paese ottenuta nel 1947. Il Paese fu allora diviso in due stati: l’attuale India, a maggioranza induista, e il Pakistan, a maggioranza musulmana. Il Ferragosto a confronto con l’insegnamento biblico. Probabilmente l’invito dell’apostolo ai credenti romani: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno, senza gozzoviglie e ubriachezze; senza immoralità e dissolutezza; senza contese e gelosie” (Romani 13:13), includeva anche i festeggiamenti di Ferragosto. Gozzoviglie, in greco komois, significa: “gozzovigliare, festeggiare, banchettare, mostrare intemperanza, avere un comportamento immorale e permissivo, dando sfogo ai desideri più bassi”. Ubriachezze, in greco methais, significa “prendere droghe tossiche o bevande per oscurare le facoltà,  i sensi e, intossicarsi con il proposito del piacere o desiderio; cercare di allentare il controllo della morale per amore dei piaceri del corpo, essere intossicati o ebbri”. Immoralità, in greco koitais, indica “fornicazione, sesso prematrimoniale, adulterio, immoralità sessuale”. Dissolutezza, in greco aselgeiais, denota “sensualità, essere sregolati, dissolutezza, perversione; rapporti sessuali disordinati, lascivia, vivere una vita selvaggia, sfrontata e immorale”. È desiderio eccessivo, irrefrenabile che consuma i pensieri e il carattere. Contese, significa “litigi, dispute, questioni”. È il desiderio profondo in una persona che vuole onori, riconoscimenti, autorità, ruoli. Naturalmente non bisogna demonizzare il Ferragosto in sè. E’ un giorno come tutti gli altri del calendario, è un dono divino. Non è il caso di proibire lo stare insieme con la famiglia o la chiesa per non conformarsi alle abitudini dei non credenti. L’importante è vivere quel giorno come un momento di riposo e comunione familiare. La mente dell’uomo è stata infettata dal peccato e ha necessità di essere rinnovata.  Resta fermo che il credente non deve conformarsi, modellare se stesso secondo il mondo: “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 12:2). Quello che le Sacre Scritture dicono è evidente. Il credente deve essere trasformato e cambiato interiormente: la sua natura, essenza, personalità, essere interiore, l’io, deve essere cambiati. Ogni occasione, momento, ricorrenza, festività, deve essere vissuta da Figli di Dio. Anche il Ferragosto. Davide Di Iorio